Lo spazio che ci unisce è uno sci-fi prodotto da Netflix delicato e poetico, ma pieno di incongruenze e domande che restano senza risposta
Lo spazio che ci unisce (The space between us) è l’ultimo film sci-fi diretto da Peter Chelsom, disponibile su Netflix dai primi di giugno.
La pellicola è ambientata nel 2018: durante la prima missione per colonizzare Marte, un’austronauta scopre di essere incinta. Per evitare frettoloso ritorno sulla Terra e non far fallire la storica spedizione spaziale, il bambino viene fatto nascere sul Pianeta Rosso, ma la madre muore di parto.
Nel tentativo di insabbiare la spiacevole vicenda, preoccupati di perdere finanziamenti e suscitare troppo clamore mediatico attorno all’importante missione scientifica, l’identità del giovane Gardner (Asa Butterfield) viene nascosta al mondo intero dalla società che gestisce la missione e il bambino è costretto a crescere e rimanere su Marte, con la conseguenza che le particolari condizioni ambientali cui è sottoposto (la gravità su Marte è poco più di 1/3 di quella della Terra), plasmeranno un fisico non adatto alla vita sul nostro pianeta, dato che il suo corpo non potrebbe sopportare la pressione e la forza di gravità terrestre.
Sedici anni dopo la sua nascita, Gardner riesce a intessere, tramite il web, un’amicizia particolare con Tulsa (Britt Robertson), una ragazza del Colorado che ignora (come chiunque altro) dove realmente viva il ragazzo.
Qualche mese dopo, spaventati dalla salute mentale di Gardner che rischia di impazzire causa la sua triste e solitaria condizione di “recluso”, l’ente spaziale decide di sottoporre il ragazzo a degli interventi al fine di poter affrontare il viaggio verso la Terra per incontrare finalmente Tulsa e cercare di scoprire l’identità di suo padre, del quale possiede solo una fotografia.
Ovviamente sulla Terra non sarà tutto rose e fiori: Gardner e Tulsa si ritroveranno in fuga dalla NASA (che vuole mantenere il segreto sul ragazzo) e dal tempo, dato che il debole cuore del ragazzo non è in grado di reggere a lungo sul Pianeta Blu.
Una love-story poetica ma poco fantascientifica
Il centro del film non è, come ci si potrebbe aspettare, lo spazio o il viaggio interstellare, né tanto meno la vita su Marte.
Lo spazio che ci unisce è principalmente una love-story, prodotta esclusivamente per un pubblico giovane. La colonna sonora è esclusivamente commerciale e molte scene sono tipiche dei film adolescenziali.
Chelsom aveva la possibilità di creare un film originale, ma molti elementi che potevano renderlo tale non sono stati sfruttati a dovere, facendo atterrare la pellicola sul tappeto fiorito del racconto, seppur originale, di un’innamoramento giovanile.
Solo l’interpretazione del bravissimo Asa Butterfield (che forse riconoscerete come il protagonista de Il bambino con il pigiama a righe), sia la delicatezza con cui vengono mostrate le emozioni del giovane marziano, riescono un po’ ad innalzare il livello di questo film.
In mezzo al guazzabuglio di fughe dalla polizia e dalle autorità, furti ed evasioni da ospedali, vi sono alcune scene decisamente poetiche e raffinate. L’amore tra i due giovani è spontaneo e inusuale, molto suggestivo, forse anche leggermente smielato, come dopotutto deve essere l’amore tra due teenager.
Houston, abbiamo un problema
Nonostante l’idea originale sia stata buona, a lungo andare il film comincia a perdere la grinta iniziale. Si ha la brutta impressione che il regista si sia distratto, come se si fosse dimenticato tutto d’un tratto che ci troviamo sedici anni nel futuro.
In realtà il problema vero non è rappresentato da quei sedici anni in avanti rispetto al nostro presente, bensì le incongruenze all’interno del film stesso. Com’è possibile che all’inizio del film abbiamo una macchina elettrica con tanto di pilota automatico e a metà pellicola ci troviamo davanti una motocicletta e un’automobile degli anni ’80?
Altro elemento che disturba parecchio è la distanza: non la distanza tra Marte e la Terra, bensì quella tra le varie città degli Stati Uniti. Se siamo a Summerland, in California, mi spiegate perché arriva la polizia direttamente da Los Angeles? Non esiste una centrale di polizia più vicina, tipo nella stessa Summerland?
In definitiva, Lo spazio che ci unisce parte da un’idea buona e abbastanza originale, ma perde la forza iniziale che deriva da una situazione iniziale ben studiata e dai risvolti e tematiche potenzialmente infinite che si riducono gradualmente ad una sdolcinata storia d’amore con i soliti cliché che finisce per generare scene inutili e incongruenze.
Più che un film sci-fi sarebbe più corretto definirlo una love-story dedicata a un pubblico giovane. L’impatto stesso del primo essere umano “marziano” sul nostro pianeta non viene sfruttato abbastanza e, invece di approfondirne gli importanti e forti risvolti, viene quasi volutamente ignorato e si cerca di compensare il tutto con delle scene ironiche e divertenti.
Lo Spazio che ci unisce poteva, senz’altro, essere sviluppato molto meglio, forse eliminando delle scene superflue e sostituendole con delle spiegazioni concrete sui mille perché di cui l’intera storia sembra permeata e che, se non proprio con delle risposte, almeno meritavano un approfondimento.
Sarà pur vero che l’amore vince sempre su tutto, ma questa volta non ci riesce completamente e la distanza tra i buoni propositi di un intelligente e profondo e quello che giunge al pubblico è davvero siderale!