Torna il Maxi Tex, con una storia che riporta alla gioventù del personaggio della Bonelli
Siamo onesti: questo ventunesimo Maxi Tex edito, come sempre, dalla Sergio Bonelli Editore, si sarebbe potuto benissimo intitolare Tex: Anno Zero. Purtroppo su questo titolo pesano almeno un paio di precedenti presso la Sergio Bonelli Editore, sia su Zagor che su Nathan Never. Ergo, andava trovato un altro titolo e quel titolo è Nueces Valley. La sceneggiatura è del curatore Mauro Boselli e i disegni sono di Pasquale Del Vecchio.
In questi anni siamo stati abituati al Tex ultraquarantenne in gran forma, mentre solo raramente abbiamo avuto visione del Tex giovane e alle prime armi. Qualcosa ci ha fatto vedere Gian Luigi Bonelli, il creatore del personaggio, in alcune storie storiche come Il passato di Tex, Il giuramento e Tra due bandiere, ma sono stati episodi sporadici nel corso della quasi settantennale carriera del ranger. Anche Claudio Nizzi, storico sceneggiatore di Tex dagli anni ’80 ad oggi, si è mosso in tal senso, così come Mauro Boselli in tempi più recenti, ma una delle prerogative di queste storie era quella di far vedere un Tex sempre uguale a sé stesso, sia a livello grafico (emblematica una vignetta de Il giuramento, dove Tex viene indicato come un uomo di circa 35/40 anni quando dovrebbe averne parecchi di meno) che caratteriale. Alla fine dei giochi, Tex è sempre il solito granitico, monolitico e invincibile personaggio di sempre.
Questo, a parere di chi scrive, toglie un pizzico (ma giusto un pizzico, visto che le storie che ho citato sono tutte dei capisaldi irrinunciabili della serie) di fascino a questo tipo di storie ambientate nel passato del personaggio. Che senso avrebbe infatti, mostrare il passato di un eroe se alla fine questo eroe fa le stesse identiche cose di sempre e se viene disegnato sempre allo stesso modo?
Forse è per questo che di recente Mauro Boselli ha optato per un approccio diverso, realizzando alcune storie dedicate al giovane Tex, un Tex meno invincibile rispetto alla tradizione e disegnato anche in maniera un po’ diversa. Quest’anno hanno fatto capolino nelle edicole il Texone Il magnifico fuorilegge, divenuto subito un classico istantaneo, seguito qualche settimana fa dal cartonato Il vendicatore entrambi realizzati da Boselli con la complicità dell’amico disegnatore Stefano Andreucci.
E ora giunge in edicola il terzo volume di una ipotetica trilogia texiana: se gli eventi del Texone erano ambientati appena prima dell’inizio ufficiale della serie e con il cartonato si era andati ancora più indietro, con questo Maxi Tex si va ancora oltre, addirittura andando all’Anno Zero della saga di Tex.
L’albo comincia nel 1838, quando una carovana di pionieri aiutata dal grande esploratore Jim Bridger raggiunge la Nueces Valley del Texas, una terra molto bella e fertile, ma all’epoca completamente disabitata, se si escludono le tribù Comanche, Karankawa e Apache che le infestavano e servivano da deterrente per i coloni. Su questa carovana sono presenti anche due giovani coloni in attesa del loro primo figlio: Ken e Mae Willer, i genitori di Tex.
Ed è qui che parte il primo tuffo al cuore: non ci limitiamo a vedere un Tex genericamente giovane, vediamo addirittura i suoi genitori giungere nel luogo che sarebbe diventato la sua casa per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Fanno la loro comparsa personaggi storici della serie come Gunny Bill, mentre assistiamo al formarsi del mitico trio composto da Tex, Damned Dick e da Rod e non può non scendere una lacrimuccia al pensiero di cosa succederà a questo trio nella già citata Tra due bandiere. Nelle pagine di questo volume assistiamo alla crescita di Tex per come lo conosciamo oggi e il finale ci riporta nel presente, quando i quattro pards al gran completo accorrono in soccorso di un ormai anziano Jim Bridger.
Boselli tenta il colpo gobbo con questo nuovo volume e centra in pieno il bersaglio (pur non senza qualche inciampo, come vedremo), realizzando una storia che ha il sapore epico di film western come Il grande cielo e La conquista del West, tutta basata sui grandi spazi, sui viaggi per condurre le mandrie da una parte all’altra di un territorio ancora in gran parte selvaggio cercando di sfuggire alle razzie dei desperados e degli indiani.
Lo script si rivela solido e senza particolari sbavature, con un buon ritmo e i soliti bei dialoghi. Sia chiaro che siamo lontanissimi da perle come Il passato di Carson, La grande invasione, El Supremo o Il magnifico fuorilegge. Quello che ritroviamo in queste pagine è, se vogliamo chiamarlo così, un Boselli-medio-medio. Godibile.
Qualche nota dolente ovviamente c’è: in primis, a parere di chi scrive, la parte dedicata alla visita di Tex a San Francisco pare un po’ abbozzata lì, nel senso che l’evento centrale di quella parte, per quanto credibile e storicamente accertato, puzza di deus ex machina lontano mille miglia. Dalla serie: non so cosa metterci a questo punto, ci piazzo questo e via che si va.
In secondo luogo, lo spazio riservato a Mae, la madre di Tex, è piuttosto risicato, mentre io speravo in un suo ruolo molto più ampio. Capisco che siamo nel western alla Tex Willer e che troppe donne stroppiano (ma chi l’ha detto?), ma speravo in qualcosa di più che in una semplice comparsata, anche alla luce dei bellissimi studi di Pasquale Del Vecchio in apertura di albo.
A proposito di Del Vecchio, non si può che applaudirlo. La cosa bella di Del Vecchio è che non è un artista del disegno, non è un virtuoso della matita. Dimenticatevi gli artisti contemporanei come Cavenago, Mari, Piccatto, Andreucci o Mastantuono. Del Vecchio non è uno che va in giro a farsi bello alle fiere atteggiandosi inutilmente da rockstar del fumetto (cosa che, ammettiamolo, ha rotto le scatole: è stato giusto sdoganare gli autori di fumetti in quanto artisti, ma la mia impressione è che oggigiorno si stia pigiando troppo la mano sul protagonismo sterile e fine a sé stesso). Del Vecchio è semplicemente quel solido e classico disegnatore di una volta, di quelli che stanno chini sul tavolo da disegno a produrre grappoli di pagine e che hanno uno stile improntato alla più assoluta leggibilità e all’assoluto rispetto della tradizione grafica di un personaggio o di un editore. Del Vecchio è uno di quei disegnatori che non scontenta praticamente mai il lettore, pur senza essere il numero uno. Il mio rispetto per lui rasenta l’assoluto: in un periodo in cui anche l’ultimo arrivato si atteggia da superstar passando per le vie di questa o quella fiera con stormo di fan (fan, non lettori) al seguito, un disegnatore come Del Vecchio è semplicemente oro a ventiquattro carati. Avercene di disegnatori così.
Il lavoro di Del Vecchio su questo albo è sicuramente curato e senza sbavature. Si apprezzano in particolare le scene nei grandi spazi aperti, dove compaiono le grandi mandrie di vacche e le concitate scene d’azione, mentre l’impressione è che soffra un po’ gli interni. Il suo stile molto chiaro viene esaltato ancora di più, se possibile, dalle bellissime scene notturne (e all’aperto), momento in cui il disegnatore pugliese dà il meglio di sé. In apertura di albo trovate i suoi studi preparatori per i vari personaggi della vicenda e noterete che sono tutti centrati. Tutti, nessuno escluso. Menzione d’onore per i primi piani di Mae Willer, personaggio che, come detto, si è visto troppo poco.
In definitiva, un buon Maxi, uno dei più riusciti di una collana che, a mio avviso, non è mai stata particolarmente esaltante. Se escludiamo il sempiterno Oklahoma (che tradizionalmente è considerato il primo Maxi, anche se questa collana sarebbe nata solo nel 1997) e qualche volume sparso, ho sempre ritenuto questa collana come una delle meno rilevanti di Tex. Questo albo, al contrario, si è rivelato una sorpresa piacevolissima pur senza essere un capolavoro. É solo una bella storia con dei bei disegni. Ma vi sembra poco?
Una postilla in chiusura: spesso diversi lettori si lamentano del fatto che Tex con gli anni sia diventato troppo politicamente corretto. Ebbene, si vede che Boselli deve essersi accorto di queste critiche e abbia deciso di porvi rimedio.
Infatti in questo albo si vede Tex che, ancora minorenne:
1: spara alla gente (!)
2: si diverte ad assistere a una rissa (!!)
3: fa a pugni per divertimento (!!!)
4: beve alcol (!!!!)
5: punta una pistola contro un tizio dall’aspetto deforme e lo chiama sgorbio (!!!!!)
6: impara il famoso trucco del fiammifero fra le dita dei piedi (!!!!!!)
7: prende a pugni un nero chiamandolo sacco di carbone (!!!!!!!)
8: picchia il capo dei cattivi fino a quando questi non perde i sensi (!!!!!!!!)
9: spoglia una ragazza, probabilmente minorenne anche lei, fino a lasciarla solo in indumenti intimi e poi la butta in mare (!!!!!!!!!)
Lo si vede fumare solo nelle scene da adulto, ma direi che ci sia abbastanza materiale per gli amanti del politicamente scorretto.
In generale, in diverse scene dell’albo, specie quelle dove i pugni sembrano piovere dal cielo, si percepisce una certa ironia disincantata che su Tex fa capolino sempre più raramente e che serve a ricordarci che stiamo parlando di fumetti. Quelle persone non si stanno picchiando per davvero, non si stanno sparando per davvero, non si stanno uccidendo per davvero, eccetera, per il semplice motivo che quelle persone non esistono. Sono personaggi di finzione. E non fa male riderci sopra, ogni tanto.