Ogni volta che leggiamo un fumetto rimaniamo colpiti da trama e disegni, ma spesso ci dimentichiamo come ci siano altre importanti componenti dietro la creazione di un albo a fumetti.
Nel leggere un volume a colori capita di dare per scontata la colorazione ma anche dietro a questo aspetto di un fumetto ci sono professionisti che prestano la propria opera.
Paolo Francescutto è uno di questi artigiani del fumetto, come preferisce dire lui, che si occupa di donare colore alle pagine dei nostri fumetti preferiti. Dopo averlo incontrato assieme alla squadra di Dragonero nella scorsa edizione del Lucca Comics & Games, abbiamo avuto modo di farci spiegare in modo un po’ più preciso in cosa consiste il suo lavoro e quanto significhi per lui.
Paolo Francescutto ci spiega il compito del colorista nel mondo del fumetto, raccontandoci anche la sua esperienza personale: da Dragonero alle collaborazioni internazionali
Ciao Paolo, benvenuto su JustNerd. Potresti spiegarci il ruolo del colorista e come si svolge il lavoro sulle tavole?
Fare il colorista vuole dire accettare una posizione di secondo o terzo piano all’interno di un progetto, anche se molto spesso, il colore giusto o sbagliato può salvare un disegno mediocre o distruggerne uno ottimo. Quando qualcuno legge un fumetto a colori,Quasi mai dirà complimenti al colorista, sebbene molto dello spettacolo sia messo in piedi proprio da quest’ultimo.
Il colorista deve quasi fare le veci di colui che nel cinema è il direttore della fotografia, in particolare per quanto riguarda gli equilibri delle riprese, anche basate sul colore e la profondità di campo. A differenza di quanto dicono in molti, secondo me non si tratta di un lavoro da artisti, ma da artigiani della filiera della produzione di fumetti.
Questo è un mio personale parere; non lo dico per sminuire la cosa, ritengo che essere dei buoni artigiani sia una cosa di cui si possa solo andare fieri. Di buoni artigiani infatti ce n’è sempre meno e ce n’è sempre più bisogno.
Mi spiego meglio: immagina che l’artista (che nel nostro caso può essere lo sceneggiatore o il disegnatore) sia quello che progetta una scultura in bronzo, la disegna, la crea nella cera, ma la colata e la finitura del bronzo viene fatta da artigiani al suo servizio (che nel nostro caso sono i coloristi); questi devono far uscire la scultura che l’artista ha avuto in mente dagli inizi. Il colorista deve anche pensare ad inserire un‘atmosfera, un‘emozionalità alle tavole; non c’è un metodo fisso per farlo, dipende dal disegno che si ha sotto mano.
Sono dell’idea che ogni disegno debba avere il colore che meglio gli si addica; ogni albo è per me un esperienza nuova, e anche se posso avere delle costanti nel mio modo di lavorare, ogni differente disegnatore richiede delle specifiche e delle attenzioni particolari per poter essere esaltato, senza essere, nel colore, troppo ingombrante. La collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione di un fumetto spesso si basa sulla reciproca fiducia nelle competenze e nella professionalità di ciascuno.
Quale percorso formativo hai seguito?
Come scuola superiore, la scuola di mosaico di Spilimbergo, in Friuli. Non ho una vera preparazione al fumetto, se non per un corso di 15 lezioni tenuto dal grande Davide Toffolo, sulle tecniche di base del fumetto, la sue dinamiche di comunicazione e sul processo produttivo. Assieme ad un gruppo di partecipanti, a fine corso, si continuò a frequentarci fondando un’associazione culturale e pubblicando una fanzine, la Fame Comics, che divenne poi una piccola casa editrice.
La cosa ci permise di frequentare fiere di fumetto e di confrontarci con altri autori amatoriali come noi e incontrare dei professionisti cui mostrare i portfolio e chiedere consigli.
Direi che questa è la seconda formazione riguardante il fumetto che ho avuto, il contatto diretto con chi lo fa di mestiere, se pur in modo sporadico e prolungato. Con due di questi amici di pubblicazioni amatoriali (Luca Malisan e Dimitri Fogolin) si decise di fondare, ormai una decina di anni fa, il Gotem Studio. Volevamo far diventare un lavoro vero e proprio quello che fino a quel momento era una passione non retribuita.
Recentemente si parla spesso di colorazione ‘manuale’ e digitale. Puoi spiegare la differenza tra queste due tecniche?
Immagino si voglia intendere, con lavoro manuale, il lavoro analogico, e con quello fatto tramite computer o simili, il lavoro digitale.
La differenza è enorme, quando lavoro su miei progetti personali tendo a prediligere il lavoro su carta, chine, pennelli, pennini e pennarelli, acquerelli e acrilici. Finisco poi però sempre con il rifinire al pc il tutto, anche per un discorso di ottimizzazione dei lavori, visto che la riproducibilità di un‘opera deve essere tenuta in conto da un illustratore.
I lavori da colorista invece li eseguo praticamente sempre al pc, essenzialmente per una questione di praticità: l’invio di una tavola nata digitale è decisamente immediato e anche le correzioni, che possono sempre capitare, a pc sono molto più eseguibili. La pennellata manuale di suo la si dà anche su supporto digitale, ma un‘atmosfera, il colore della giacca del protagonista, quello di un‘automobile, a lavoro finito lo si può sempre cambiare, tutto è più facile, immediato e pulito, e i tempi spesso stretti sono sicuramente un buon motivo per prediligere un metodo pratico.
Vorrei inoltre precisare, per i profani, che non fa tutto il computer, anzi, come detto, lo stesso è solo un supporto differente, ma è la mano che agisce con la penna sulla tavoletta grafica, o display interattivo, che dir si voglia. Principali scogli e difficoltà nel portare il colore su tavole in B/N? Se parliamo dei romanzi che stiamo portando nelle librerie, colorando delle storie nate per la stampa bianco e nero, beh, il fatto stesso che si lavori su delle tavole nate per essere lette in bianco e nero.
L’equilibro dovrebbe essere di per sè completo così (in b/n), qualunque altra cosa va ad appesantirla; la difficoltà maggiore sta sì nell’aggiungere, ma, nonostante ciò, alleggerendo il tutto. Insomma, un poco un ossimoro, questa credo sia la cosa più ardua. Il risultato credo possa essere comunque a favore, pensando anche alla possibilità di dare una lettura totalmente differente, aumentando la sensazione di proiezione del lettore all’interno dell’opera.
Quando in edicola o fumetteria il lettore acquista un albo considera l’opera come un unico corpo. In realtà, ogni professionista che concorre alla realizzazione ha una diversa modalità di lavoro e di tempistica. Nel tuo caso, come si sviluppa il lavoro?
Solitamente le case editrici inviano le tavole sottoforma di file in tiff, generalmente a 1200 dpi in bitmap (non c‘è una regola fissa, dipende anche dal tipo di disegno, se a matita sarà più facile sia in scala di grigio a meno definizione).
Con qualche passaggio al pc poi si prende la tavola e la si modifica trasformandola in una tricromia o quadricromia, e lavorabile appunto con il colore. Passo quindi, una volta impostate, le tavole a delle persone che si occupano di metterci i colori di base, le carnagioni corrette per i personaggi, i cieli blu, l’asfalto grigio, l’erba verde e così via, e una volta ritornate da me lavoro sulle superfici scolpendo appunto, come detto prima, le superfici, aggiungendoci atmosfera, ombre portate e di struttura, luci e così via.
Una volta completato, invio un’anteprima ai miei superiori per una prima visione, se ci sono correzioni da fare le eseguo, in caso contrario preparo il file definitivo e lo invio in redazione.
Ricordi qual è stato il tuo primo lavoro importante?
No, non per snobismo, visto che ormai la quantità di tavole che ho colorato è di qualche migliaio, ma più perchè non credo ci sia una vera e propria scala di valori per i lavori. Ritengo tutti importanti, specie se onestamente pagati. La paga è una cosa imprescindibile da questo mestiere, se lo si vuole chiamare tale.
Ti è mai capitato di trovarti di fronte ad un lavoro e pensare “Stavolta non ne esco vivo“?
Mah, potrebbe essere quella volta in cui in meno di 20 giorni feci un albo per il mercato francese, e in contemporanea andavo avanti con altri lavori; o quella volta che mi anticiparono l’uscita di un libro, di quasi 200 tavole, di un paio di mesi. Ammetto però che sotto pressione tendo a divertirmi di più!
Dopo aver colorato centinaia di tavole, quale lavoro riguardi con maggior soddisfazione?
Senza voler sminuire il piacere che ho nel collaborare con la Bonelli, penso il primo romanzo a colori Dragonero, quello che implicava la colorazione del romanzo uscito ancora nel 2007, specialmente perchè è stato per il mercato italiano, dopo tanto tempo passato a lavorare sopratutto per il mercato estero. Vedere il proprio lavoro nella libreria sotto casa è sempre molto piacevole.
Su quali progetti sei all’opera ora?
Ho un paio di lavori con la Glénat, sto illustrando un diario per la scuola per la Filologica Friulana, i romanzi da libreria per Dragonero, le copertine degli albi di Dragonero Adventures, serie per la quale coloro anche qualche storia e coordino e supervisiono i coloristi di quello che e il mondo Dragonero.
Ringraziamo Paolo Francescutto per averci dato una visione più chiara della figura del colorista!