ร approdato da poco nelle librerie Jerusalem, il nuovo romanzo di Alan Mooreย edito in Italia da Rizzoli.
A dir la veritร , definirlo โnuovoโ รจ un poโ paradossale: il noto fumettista, famoso per lo piรน pervader creatoย Watchmen, V per Vendetta e From Hell, ci ha messo piรน di dieci anni per scriverlo!
Jerusalem, un mattone di 1500 pagine e piรน, รจ un romanzo che combina elementi storici e sovrannaturali. ร suddiviso in tre Libri: Boroughs, Mansoul e Lโinchiesta dei Vernall.
La trama sโinerpica attraverso i secoli, mostrandoci come Borough, il quartiere piรน antico di Northampton, si รจ trasformato nel corso del tempo. In particolar modo, ci mostra coloro che lo hanno popolato e cosa ci hanno lasciato in ereditร .
I personaggi sono davvero tanti: alcuni sono leggendari o mitologici, molti sono fittizi, altri ancora sono storici (come Samuel Beckett, James Joyce, Albert Einstein). Le loro vite si intrecciano attraverso il tempo, spesso narrando gli stessi eventi con una chiave di interpretazione diversa.
Northampton protagonista
La vera protagonista di Jerusalem non รจ altro che la cittร natale di Moore, ovvero Northampton. Anzi, dopo qualche centinaio di pagine si inizia giร a capire una veritร incontestabile: Jerusalem รจ Northampton.
ร noto che la cittร รจ stata un centro di eterodossia politica e religiosa. Per secoli i gruppi radicali (come i Livellatori o gli Antinomiani, per fare un esempio) hanno frequentato Northampton alla ricerca di una tana, di un posto dove ripartire da zero e creare la loro organizzazione ex novo. Insomma, cercavano un rifugio, una nuova Gerusalemme.
Lโidea di base, dโaltronde, รจ proprio quella dellโeternalismo, tanto caro a Moore: passato, presente e futuro coesistono nello stesso luogo, influenzandosi a vicenda.
Parola dโordine: follia
Se la cittร รจ la protagonista del libro, lโelemento che fa da collante tra le varie storie narrate รจ sicuramente la follia.
Northampton sembra immedesimarsi nel ruolo della cittร santa cosรฌ bene che ne incarna addirittura lo spirito e lโatmosfera. A volte si ha lโimpressione di essere dentro una fiaba scolorita, dove facciamo fatica a riconoscerne i contorni e i colori. Tutto sembra sfuocato o visto attraverso uno specchio deformante.
In quasi tutti i capitoli, i personaggi hanno delle allucinazioni o delle visioni. A volte si tratta degli effetti collaterali dellโalcol o della droga, ma altrettanto spesso sono dovute a una fervida religiositร o a malattie mentali, come la schizofrenia.
Spesso la follia รจ accompagnata dallโelemento magico, comโera prevedibile. Moore รจ noto anche come occultista, tanto che si รจ autoproclamato mago. Durante la sua carriera ha anche proposto degli spettacoli teatrali che si sono rivelati poi dei veri e propri percorsi iniziatici, con tanto di riti magici.ย Era dunque inevitabile che non riversasse anche in Jerusalem la sua passione per lโocculto.
Lo stile
Lโunica grande (anzi, enorme) pecca di questo romanzo sembra essere proprio lo stile.
Ho impiegato parecchio tempo per capire quale fosse lโidea di Moore riguardante la scrittura. Bisogna ammettere che si sforza di utilizzare una gamma variopinta di linguaggi diversi.
Ci sono dei capitoli che presentano uno stile molto basso, caratterizzato da una lingua simile a quella parlata o della strada, spesso anche volgare. Il lessico scelto รจ quello appartenente ai personaggi (anche loro di bassa estrazione sociale).
In altri capitoli, al contrario, lo stile diventa molto alto, preciso ed elegante. Esso viene dedicato perlopiรน ai personaggi storici o a quelli riguardanti la sfera religiosa.
Devo ammettere che inizialmente ero convinta che Moore volesse descrivere le azioni dal punto di vista dei personaggi, addentrandosi nel loro modo di pensare.
Ma procedendo con la lettura mi sono resa conto che in realtร lo stile non rappresenta sempre la mentalitร e la cultura dei personaggi. Al contrario, tende inevitabilmente verso un tono aulico, nonostante la presenza di parolacce e slang, come se lโautore si sforzasse di essere realista solo fino a un certo punto.
Lโostacolo di Jerusalem รจ proprio questo: un linguaggio troppo alto, prolisso, ripetitivo fino allo sfinimento e decisamente noioso.
Certo, i dettagli sono importantissimi in un romanzo, perchรฉ consentono al lettore di entrare nel vivo della narrazione e di assaporarne lโatmosfera, ma รจ altrettanto vero che i suddetti dettagli devono avere un loro perchรฉ: se gli oggetti descritti sono assolutamente comuni e non giocano un ruolo nel libro ma, al contrario, vengono dimenticati subito dopo la loro entrata in scena, gli sforzi dello scrittore diventano inutili.
Anche il lettore ne risente. Bombardato comโรจ di dettagli superflui e ripetizioni, rischia di incappare in quella che Walter Scott definiva โlodevole pratica del salto delle pagineโ.
Ed รจ un vero peccato, perchรฉ i libri sono fatti per essere letti e assaporati, non per sfogliare i capitoli.
Conclusioni
Sicuramente Jerusalem รจ unโopera ambiziosa, anzi, forse รจ la piรน ambiziosa della carriera di Moore.
Per certi versi si tratta di un libro che sconvolge la letteratura contemporanea, impostando i capitoli con rigore e originalitร .
Il modo in cui ci mostra la sua cittร natale รจ notevole: ci viene data la possibilitร di vedere attraverso gli occhi di un bambino, poi di un vecchio, di una tossicodipendente e cosรฌ via, ma anche di autori illustri e di schizofrenici.
Insomma, lโidea di base รจ degna di nota.
ร un vero peccato che lo stile sia cosรฌ soporifero: la voglia di leggere viene meno quando ci si ritrova davanti un volume grande come la Bibbia e con un linguaggio prolisso e ripetitivo.
Forse i dieci anni impiegati, tra revisioni e sostituzioni, non hanno giovato molto alla stesura finale di un’opera che comunque รจ il prodotto delle fatiche, degli studi e delle ambizioni di Moore.