La distinzione tra umani e robot, oggi, si basa ancora sul concetto di coscienza. Questione quasi filosofica ma la cognizione di sé è ancora uno dei parametri di giudizio che ci separa dalle intelligenze artificiali.
Cosa accadrà quando anche le IA avranno una propria coscienza? Questo interrogativo potrebbe non esser così recondito, visto che in questi giorni si è scoperta l’esistenza di un robot con una coscienza.
Un robot con una coscienza ha mosso i suoi primi passi alla Columbia University
A darne l’annuncio sono stati Hod Lipson e Robert Kwiatkowski, due ricercatori della Columbia University, che hanno presentato questo incredibile robot con una coscienza. Prima di farsi prendere dal facile entusiasmo o dai timori alla Skynet, va considerato che si parla ancora di robot ben diversi da quelli immaginati dal padre della robotica fantascientifica, Isaac Asimov, ma comunque simili conquiste sono un passo avanti tecnologico non certo trascurabile.
Il robot in questione è una macchina semplice, dotata di un software con poche istruzioni, ma evoluto, in grado di apprendere. Per capirsi, il software in dotazione alla macchina non forniva regole di fisica, meccanica o geometria che consentissero al robot di elaborare regole rigide, ma forniva al contrario degli strumenti che permettessero al dispositivo di elaborare soluzioni in autonomia ed evolversi.
Per esempio, all’inizio al robot non era stata comunicata nemmeno la propria forma. Per comprendere come funzionare, il robot ha dovuto quindi testare i propri limiti, sfruttando un software di machine learning che, tramite tentativi ed esperimenti autonomi, ha consentito alla macchina di acquisire una propria consapevolezza, tramite cui creare un proprio modello di interazione. In pratica, il dispositivo ha dovuto rispondere al corrispettivo digitale dell’interrogativo ‘Chi sono?’ e divenire il primo robot con una coscienza.
Ovviamente i ricercatori hanno spronato questo procedimento di apprendimento, spingendo il robot ad effettuare degli esperimenti di interazione con l’ambiente circostante. Per rispondere a queste sollecitazioni esterne, il robot ha utilizzato un modello autocostruito di percezione dello spazio e delle proprie capacità motorie, adattando la propria consapevolezza all’incarico affidato. Tramite una serie di ricalibrazioni e di ripetizioni di questa routine, il robot ha pian piano sviluppato una serie di regole autonome per poter interagire con l’ambiente circostante.
Dopo circa 35 ore di queste ‘prove’, il robot è stato in grado di elaborare un proprio modello tridimensionale di sé. Tramite questo processo mentale, il robot è riuscito a compiere incarichi, apparentemente semplice, come spostare un oggetto, con una percentuale di successo del 100% all’interno dello spazio che ha imparato a conoscere. Diversamente è andata quando l’oggetto andava spostato fuori dalla propria zona di comfort, con un rateo di successi del 44%.
Alla Columbia University non si sono scoraggiati per il secondo dato, rincuorati anche dall’ottimo esito di un secondo esperimento: la reazione a menomazioni. Sostituendo al robot alcune parti con elementi parzialmente funzionati o completamente danneggiati, si è visto come il robot reagisse in modo tale da aggirare questi problemi, senza perdere funzionalità. Per gli esperti, questo comportamento del dispositivo indica la presenza di una forte ‘propriocezione’, ovvero la capacità di identificarsi e percepirsi nello spazio, che per noi umani comprende la consapevolezza della contrazione muscolare anche in assenza della vista.
Per Lipson, queste capacità del dispositivo sono indice che si parli di un robot con una coscienza, o almeno che si sia testimoni di un passo fondamentale per l’autocoscienza robotica. Tolto l’entusiasmante aspetto scientifico, inevitabilmente si entra nel campo dell’etica. Un’entità, anche inorganica, che mostri elementi di autocoscienza può esser considerato senziente? E nel caso, può vantare dei diritti di autodeterminazione?
Non dimentichiamo che introdurre nella quotidianità macchine pensanti auto-coscienti, specie in campo lavorativo, può esser ancora rischioso, dato che i robot si potrebbero trovare sollecitati da eventi imprevedibili, a cui dovrebbero un proprio schema di reazione. E tutti ricordiamo come possano capitare incidenti simili a quello dell’operaio cinese di qualche tempo fa.
D’altro canto, un robot con una coscienza potrebbe esser impiegato in operazioni rischiose per noi umani, come interventi di salvataggio in ambienti ad alto rischio. La reazione a stimoli ambientali potrebbe spingere un robot dotato di coscienza a implementare la propria programmazione, adattandosi alle nuove situazioni. E qui, pensare alle Tre Leggi della Robotica diventa quasi spontaneo, se non altro almeno come speranzoso limite all’utilizzo di robot con una coscienza in ambiti come quello militare.
Gli stessi esperti della Columbia University precisano che:
“Sicuramente abbiamo tra le mani una tecnologia potente, ma non possiamo ignorare il fatto che vada utilizzata con cautela”
Insomma, il robot con una coscienza è un grande traguardo, ma i rischi di un Terminator, per quanto fantascientifica appaia ora l’idea, non sono così ridicoli. Già alcuni futuristi come Elon Musk hanno avanzato timori verso una potenziale ascesa di una componente robotica nella nostra società, e la Comunità Europea ha già istituito un comitato apposito per elaborare una legislazione che contempli le relazioni tra umani e IA. Ad oggi, tutto questo sembra ancora fantascienza, abituati come siamo a immaginare i robot come gli androidi fantascientifici visti in capolavori come Blade Runner, ma la verità è che i robot sono una realtà oggi ancora minima. Non dimentichiamo, però, che quello che un tempo era una semplice creatura anfibia si è evoluta fino a diventare la specie dominante del piante; se la nostra evoluzione è sta lenta e ha richiesto millenni, consideriamo che le macchine non hanno certo bisogno di un tempo così lungo.