Ad oggi, oltre 10.000 satelliti orbitano attorno alla Terra, una rete di dispositivi fondamentale per la nostra vita quotidiana che garantisce il funzionamento di GPS, previsioni meteo e trasmissioni televisive in diretta.
Tuttavia, lo spazio intorno al nostro pianeta sta diventando sempre più congestionato a causa dell’accumulo di detriti tecnologici, un “nube” di spazzatura spaziale che sta cominciando a creare non pochi problemi.
Sin dall’inizio dell’era spaziale negli anni ’50, l’uomo ha inviato in orbita un numero crescente di satelliti e razzi, molti dei quali ormai sono fuori uso e abbandonati a sé stessi. Il risultato? Milioni di frammenti di spazzatura spaziale che viaggiano a velocità tali da poter causare danni devastanti alle strutture orbitanti. Evitare questi detriti è già una sfida complessa, ma il problema potrebbe peggiorare ulteriormente a causa dell’impatto delle emissioni di gas serra sull’atmosfera terrestre.
Secondo una recente ricerca pubblicata su Nature Sustainability, l’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera sta causando un restringimento dei suoi strati superiori, riducendo la capacità naturale della Terra di ripulire l’orbita dai detriti. Se le emissioni di CO2 non diminuiranno, entro la fine del secolo lo spazio. disposizione di nuovi satelliti sarà sempre più esiguo, con circa 148.000 potenziali “spot liberi” nella fascia orbitale utilizzato dalla maggior parte dei satelliti. Questo dato è allarmante considerando che, secondo un rapporto del Government Accountability Office degli Stati Uniti, entro il 2030 potrebbero essere lanciati fino a 60.000 nuovi satelliti, con SpaceX che da sola che punta a utilizzarne 42.000 per il suo progetto Starlink.
Come i gas serra impediscono l’eliminazione della spazzatura spaziale
Storicamente, la parte superiore dell’atmosfera terrestre (tra i 50 e i 300 km di altezza) è stata poco studiata, al punto da essere definita dagli scienziati “ignorosfera”. Tuttavia, recenti dati satellitari hanno evidenziato un fenomeno preoccupante: l’anidride carbonica, che riscalda gli strati inferiori dell’atmosfera, sta invece raffreddando e contraendo quelli superiori. Questo fenomeno riduce la densità dell’atmosfera nello spazio circumterrestre, compromettendo il naturale processo di rientro, e distruzione, dei detriti atmosferici.
Normalmente, la sottile atmosfera terrestre genera un leggero attrito che, nel tempo, trascina i detriti spaziali verso il pianeta, dove si disintegrano a contatto con l’atmosfera. Tuttavia, con l’atmosfera sempre più rarefatta, questo processo diventa meno efficace, aumentando la probabilità che i detriti rimangano integri in orbita per secoli o addirittura millenni.
Il rischio di collisioni e il pericolo della Sindrome di Kessler
Il pericolo più grande di un eccesso di detriti spaziali è la cosiddetta Sindrome di Kessler, un effetto domino in cui una collisione tra due satelliti in orbita bassa genera una cascata di detriti che a loro volta possono impattare su altre strutture, creando una reazione a catena. Se questo scenario dovesse verificarsi su larga scala, lo spazio attorno alla Terra potrebbe diventare impraticabile, impedendo nuove missioni e compromettendo l’attuale infrastruttura satellitare.
Attualmente, i sistemi di monitoraggio, come quello della U.S. Space Force, tengono sotto controllo circa 40.000 frammenti di detriti, alcuni grandi quanto un’automobile. Tuttavia, si stima che vi siano almeno 130 milioni di oggetti più piccoli di 10 cm che sfuggono alla rilevazione ma che, data l’alta velocità, potrebbero comunque causare danni significativi.
Soluzioni per un futuro sostenibile nello spazio: i netturbini cosmici
Per contrastare questo problema, gli scienziati stanno sviluppando nuove tecnologie per la rimozione dei detriti spaziali. Nel 2022, un satellite cinese è riuscito a catturare e spostare un relitto spaziale verso un’orbita sicura. Nel 2024, la società giapponese Astroscale ha sperimentato con successo un dispositivo di aggancio magnetico per recuperare un razzo dismesso. Siamo di fronte ai primi tentativi di implementare un servizio di “nettezza urbana orbitale”, magari affidandolo a robot e intelligenze artificiali, anche se l’ipotesi che vi possano essere squadre di umani “scavenger” a bordo di piccole navette è davvero affascinante.
Se non si adottano misure efficaci, potremmo presto trovarci di fronte a una crisi spaziale che limiterà le future esplorazioni e minaccerà le infrastrutture su cui facciamo affidamento ogni giorno. Il tempo per agire è adesso: ridurre le emissioni di gas serra e sviluppare strategie di pulizia dell’orbita bassa dalla spazzatura spaziale sono passi essenziali per garantire un futuro sostenibile nello spazio.