Ven 22 Novembre, 2024

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Tredici: prima mi suicido e poi ti spiego il perché – Recensione

La recensione della prima stagione di Tredici, lo show originale Netflix che ha creato tanto scalpore

E se fossi io il bullo, mamma?

Possiamo tranquillamente affermare che Tredici (13 Reasons Why) sia la serie TV originale Netflix che quest’anno ha fatto più discutere, per motivi che vanno oltre l’accoglienza di pubblico avuta dallo show. Uscita il 31 marzo, è ancora al centro di numerose polemiche riguardanti gli argomenti trattati.

C’è chi la ritiene una serie TV adatta ad un pubblico giovane, tanto che qualcuno ha avanzato l’idea di trasmetterla obbligatoriamente in tutte le scuole perché potrebbe essere pedagogicamente utile agli adolescenti, con l’intento di aprire i loro occhi alle insidie della società verso questa particolare età. Altri, al contrario, sostengono che sia uno show da censurare perché troppo violento e a volte forzatamente irreale e fuorviante.

Visto il clamore suscitato da Tredici, abbiamo deciso di tuffarci anche noi tra gli adolescenti, guardando la serie e poter dire, finalmente, anche la nostra opinione a riguardo!

Ma andiamo con ordine…

Tutto influenza tutto

Come forse tutti voi sapete, Tredici è la storia di Hannah Baker (Katherine Langford), una ragazza che prima di suicidarsi decide di lasciare ai ragazzi, colpevoli di aver scatenato in lei questa folle decisione, 13 audiocassette contenenti le ragioni che l’hanno portata a compiere l’insano gesto.

La serie TV, così come si presenta è ben ideata e sviluppata (anche se si poteva fare di più e meglio) specialmente considerando il fatto che è ispirata all’omonimo libro di Jay Asher, noto perlopiù all’estero che ha ricevuto critiche più che favorevoli.

L’idea di far coincidere ogni episodio con una delle tracce (audiocassette) lasciate dalla giovane, si è rivelata geniale ed azzeccatissima (anche se in qualche modo il percorso risultava quasi obbligato). Grazie a questa decisione di scandire il “tempo” dello show, lo spettatore si trova invogliato a seguire la serie puntata dopo puntata, con la voglia (e ci aggiungiamo anche l’esigenza) di conoscere l’identità dei colpevoli che hanno “perseguitato” la povera Hannah.

Inoltre, cosa che ha aggiunto spessore significativo alla serie, assistiamo a una narrazione su due piani paralleli.

Da un lato abbiamo la voce di Hannah, che racconta la sua versione della storia, mentre dall’altro abbiamo il tempo presente costellato dai flashback e dalle visioni di Clay Jensen, il ragazzo attualmente in possesso delle cassette. I collegamenti tra i due tempi principali sono curati molto beneo: ci sono ripetizioni, riprese e analogie che si incastrano perfettamente, fornendoci un’unico scorrere narrativo che va avanti indietro, anche se. alcune volte risulta un po’ confusionario.

Le interpretazioni dei protagonisti sono decisamente in linea con la qualità di questa produzione originale Netflix; in particolare, sono degni di nota Dylan Minnette (Clay Jensen) e Kate Walsh, nei panni di una distrutta ed emotivamente annullata Olivia Baker, madre della povera Hannah.

Sono tanti, troppi per essere ignorati, gli insegnamenti che arrivano da Tredici, come il dovere morale di denunciare ciò che è sbagliato, andando oltre le proprie paure e timori e trovando il coraggio per dire no a tutte le ingiustizie. Si capisce anche quanto internet, ed in particolar modo i vari social network, possano giocare un ruolo decisivo nei sentimenti e nell’emotività di una persona (in special modo gli adolescenti), corrompendone in alcuni casi lo spirito e la morale dei ragazzi e favorendo, se usati scorrettamente, come spesso i reali casi di cronaca riportano, l’annientamento di una persona.

Da sottolineare l’interessante punto di vista dei genitori che, anche se molto presenti nella vita dei propri figli, am al contempo poco attenti a coglierne i turbamenti e le perplessità, spesso non vedono (o non vogliono vedere) quello che accade e si nascondono dietro la convinzione che figli siano, nonostante tutto delle creature innocenti, incapaci di fare del male a qualcuno… sono tutti bravi ragazzi, giusto?

Selena Gomez, produttrice esecutiva, ha voluto sottolineare molto questo contatto fisico ma non di anima, che hanno i membri della famiglie moderne, tanto che una frase pronunciata Clay è un vero e proprio pugno nello stomaco, sia per i suoi genitori che per gli spettatori: “E se fossi io il bullo, mamma?”

Riavvolgiamo i nastri e troviamo i punti deboli

Ci sono, certo che ci sono e, una visione abbagliata dalla forte idea di fondo che è la base della serie, potrebbe facilitarne l’omissione.

Cos’è quindi che non funziona in 13?

Sostanzialmente tutte le critiche si concentrano sul personaggio di Hannah.

È arduo analizzarla oggettivamente senza fare spoiler, ma ci proveremo.

Possiamo affermare che Hannah si sia suicidata per il bullismo? Sì, ma non possiamo dire che ciò che la ragazza lascia come agghiacciante eredità corrisponda a dogma.

Dietro tutte le sue sentenze, le accuse, gli aforismi e le frasi sdolcinate troviamo unicamente la sua verità. Ma è l’assoluta verità? Quella degli altri, quella di Clay, per esempio, dov’è?

Clay è il classico ragazzo per bene: buono, responsabile, dolcissimo e sempre corretto, eppure è da lui, infatti, che parte l’esame di coscienza che si estenderà alle altre dodici persone. È questa allora la verità? Non quella raccontata da Hannah? E soprattutto, chi è veramente Hannah?

Tutti almeno una volta nella vita, siamo stati denigrati e presi in giro, ma ciò non vuol dire che che tutte le persone sono uguali: c’è sempre qualcuno che tiene davvero a noi, che si preoccupa di come stiamo e che quando cerca di instaurare con noi un legame lo fa senza secondi fini, ma solo con la voglia di una semplice e sana amicizia.

La serie di eventi negativi che però colpisce la povera ragazza, a volte, rasenta l’assurdità e diventa poco credibile.

Cara Hannah, esistono anche persone buone, veramente, sulle quali fare affidamento nei momenti più bui delle nostre vite, il tuo folle gesto è deleterio per tutti: per la tua giovane esistenza spezzata, per chi ha cercato di esserti vicino e anche per coloro che indichi come colpevoli, colpiti da pesantissime accuse e lasciati senza contraddittorio.

Questa sorta di assurdo protagonismo di Hannah, concretizzatosi con un gesto così estremo, ci sembra un po’ forzato e pericolosamente disastroso, quasi a rendere meno importanti e secondari le cause dell’autodistruzione estrema.

La complessità del personaggio, i suoi sentimenti, il suo approccio alla vita e alle vicende di tutti i giorni, sembra sciogliersi di fronte al “colpo di scena” a tutti i costi, cancellando di fatto i demoni interiori che torturano le persone più deboli e vulnerabili, quelle più bisognose di comprensione e protezione.

Se da una parte Tredici può far capire come ogni azione abbia un effetto concreto sulle persone, l‘escamotage delle cassette può portare i ragazzi a pensare ad una sorta di vendetta personale, ma la soluzione al bullismo non sta nel minacciare o ricattare i colpevoli, con una sorta di legge del taglione, ma nel cercare aiuto, cosa che Hannah fa in maniera marginale e senza convinzione.

Perché guardare 13?

Bypassate le considerazioni pignole sul personaggio, 13 in definitiva si rivela una serie che rapisce in pochi istanti e che tiene incollati allo schermo per ore, in attesa di scoprire nuovi elementi.

Il proposito dei produttori forse è stato raggiunto già con questa prima stagione e, forse, la seconda riuscirà ad andare oltre gli scioccanti argomenti trattati, adagiandosi meno sulla sensazionalità, aggiustando il tiro e immergendosi con più convinzione nel profondo delle cose.

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