Star Trek Discovery rispetta l’ideale di Gene Roddenberry?
A due giorni dalla visione dei primi due episodi di Star Trek Discovery, dopo aver scritto la recensione di Un saluto vulcaniano e La battaglia delle stelle binarie, ho deciso di riguardare le due puntate, non come spettatore affascinato dal sense of wonder del serial, ma come appassionato di Star Trek, quello più intransigente e spietato.
Questa mia seconda visione è stata, in un certo senso, propiziata dalla lettura di una doppietta di articoli di Lorenzo Fantoni in cui ricorda quali sono stati i punti salienti del mito di Star Trek. E rivedere Star Trek Discovery, dopo questo ricordo delle origini dell’idea di Gene Roddenberry, ha un altro sapore.
Una delle critiche più facili riguarda il design, ma quello, come detto nella recensione, dipende dalla necessità di catturare l’attenzione di un pubblico più moderno che non il trekkie d’annata, un’utenza che potrebbe avere conosciuto Star Trek grazie alla trilogia della Kelvin-timeline iniziata nel 2009 da Abrams. È una scelta in un certo senso obbligata, anche se non dobbiamo dimenticare che già in passato si sia riuscito a ricostruire il fascino della Serie Originale.
In un episodio di Deep Space Nine, Sisko e squadra tornavano indietro nel tempo, incontrando Kirk e l’equipaggio originale, inserendosi direttamente in uno degli episodi più amati della TOS, Animaletti pericolosi (Troubles with Tribbles). Il rispetto del design originale degli anni ’60 era curato, quindi era impossibile ripetere l’esperimento con Star Trek Discovery? Assolutamente no. Era giusto farlo? No.
Per quanto sarebbe stato gradevole, come appassionato, rivedere quel tipo di stile, bisogna tenere conto che Star Trek Discovery ha un obiettivo: fare ascolti. Non è rivolta solo al trekkie duro e puro, ma mira a raccogliere intorno a sé una nuova schiera di fedeli, di cui la maggior parte ha una concezione attuale della fantascienza, figli anche della visione di Abrams, che nello spirito è molto presente, con il taglio della regia e l’uso del lens flare.
Ma l’aspetto hi-tech non è il punto negativo peggiore di Star Trek Discovery. Personalmente, non sono rimasto infastidito da questo look ultramoderno, in contrasto con la classicità di TOS, alla fine è, ironicamente, il difetto minore.
Quello che proprio mi ha lasciato interdetto è il mancato rispetto dello spirito di Gene Roddenberry.
Star Trek è figlia di un’epoca in cui il mondo rischiava l’olocausto nucleare un giorno si e l’altro pure, e Roddenberry aveva in mente di creare un universo futuro che avesse una caratteristica essenziale: ottimismo. Lo spirito della TOS era quello di mostrare un’umanità che fosse capace di andare oltre i propri limiti di razzismo e sfiducia, sulla stessa nave, in plancia, servivano un capitano americano, un alieno, un russo, un giapponese e, per la prima volta, una donna afroamericana aveva un ruolo di comando. Signori, si parla del 1966, non dell’altro ieri.
Ma soprattutto, Star Trek cercava di mostrare una positività in ogni situazione, c’era la voglia di andare oltre lo scontro iniziale, di creare una comunità galattica in cui le differenze venissero comprese e rese tratti positivi, anche con difficoltà. Cito sempre uno degli episodi più iconici di questa vocazione di Star Trek: La navicella invisibile.
Dopo anni, la Federazione rivede i Romulani, razza con cui si erano scontrati nelle Guerre Romulane di centro anni prima. In tutta la puntata, si crea una tensione palpabile, i preconcetti sui nemici aleggiano per tutto l’episodio sul ponte dell’Enterprise. Come si scopre che Romulani e Vulcaniani hanno una radice comune, la sfiducia viene diretta contro Spock, nientemeno.
Ma il vero punto focale di questo episodio è il rapporto che si crea tra Kirk e il capitano romulano (Mark Lenard, che ironicamente diventerà famoso in Star Trek interpretando Sarek, padre di Spock). Il nemico nell’ombra, il cattivo, viene presentato come un essere umano. Star Trek cercava di mostrare il lato umano del nemico, voleva spiegare come lo scontro era principalmente basato su una mancanza di comprensione e dialogo. In La navicella invisibile l’ultima battuta del capitano romulano era emblematica.
“Lei ed io siamo uguali. In una differente situazione, potevamo esser amici”
Ecco Star Trek, il suo messaggio. Un messaggio che attraversa tutte le sue serie.
Dove pecca, quindi, Star Trek Discovery? Nel presentare il nemico di turno, i Klingon, manca innanzitutto questo rispetto dell’altro. T’Kuvma e Kol sono mostrati come esaltati, quasi a voler incarnare un nemico reale americano. La voglia di riunire le casate Klingon, il loro bisogno di trovare un nemico comune e lo stesso approccio fanatico ricorda molto la storia delle tribù arabe che vennero radunate dal califfato secoli fa, la cui eco oggi viviamo con l’ISIS. Star Trek non è questo, è sempre stata un messaggio di pace e di speranza, non di guerra o politicamente schierata.
Anche in TOS i nemici erano i Klingon, che all’epoca rappresentava i ‘rossi‘, i comunisti, gli eterni rivali della Guerra Fredda. Ma non erano solo i cattivi, erano arricchiti da una profondità che mostrava anche lati positivi, come l’onore. Erano furbi, a tratti meschini, ma non erano mai stereotipati, si sono anche evoluti nelle serie e nei film seguenti. Se pensiamo a Star Trek: Rotta verso l’ignoto, il celebre complotto sventato a Khitomer coinvolgeva tutti, ed erano i Klingon, pur per ragioni di sopravvivenza, che erano i primi a voler dare un nuovo assetto alla politica galattica.
Star Trek Discovery stravolge completamente lo spirito Kligon, almeno in questi primi due episodi. I figli di Qo’noS non sono mai stati così lontani dalla loro iconografia. Abbiamo già visto l’impero in crisi (sia in The Next Generation che in Deep Space Nine), ma la vera anima di un Kligon non ricorre alla fede cieca, si affida a onore e valore. T’Kuvma è un leader spirituale, non militare, non parla di onore e di valore, ma di fede. Non è la via di Klingon, direbbe Worf. Eppure, Star Trek Discovery per i Klingon preferisce presentare un martire che non un leader militare, privandoli delle loro caratteristiche.
Ed il cambiamento non è solo nello spirito ma anche nell’aspetto. Quelli non sono Klingon, sono l’ennesima rivisitazione di una razza centrale nel mito di Star Trek, la peggiore. Il modello di vita di Klingon è da sempre improntato alla semplicità, alla durezza che tempra lo spirito di un guerriero. Le loro astronavi non sono eleganti e raffinati, sono pratiche, essenziali. Chiedete a Riker, che ci ha servito durante uno scambio di ufficiali! Le astronavi viste in Star Trek Discovery, affascinanti quanto vogliamo, sono quanto di più lontano ci sia dalla flotta Kligon. Sono cattedrali gotiche, iper decorate, incredibilmente luminose, molto più delle controparti federali. In pratica, non sono Klingon, come non lo sono le divise barocche indossate dagli ufficiali.
Ma soprattutto, tutte quelle navi Klingon in battaglia, e nessun figlio di Khaless dice due delle frasi essenziali per un Kligon che affronta la guerra: Q’Plah e Oggi è un buon giorno per morire. Parafrasando l’altro celebre Star della fantascienza, questi non sono i Klingon che stiamo cercando.
Ma non sono i soli a tradire l’anima classica. Sarek che incita all’attacco preventivo è totalmente fuori personaggio. Stiamo parlando dell’ambasciatore della Federazione per eccellenza, l’uomo, anzi il vulcaniano, di Babel. Da sempre il padre di Spock cerca di unire i popoli, non separarli e mai avrebbe sostenuto che un attacco preventivo fosse il giusto mezzo per intavolare un dialogo. Mi spiace, ma questo Sarek ha un atteggiamento anni luce lontano dal vero Sarek, nemmeno la necessità di mostrare un taglio più moderno al serial motiva questo radicale stravolgere il personaggio.
Star Trek Discovery, visto come serial a sé stante, ha una bella struttura e sono sicuro possa mostrare una sua validità. Come serial di fantascienza, ma non come Star Trek. Non basta un minimo rispetto di alcune tecnologie (phaser e comunicatori sono in linea con i tempi), non basta disegnare un impossibile delta federale nella sabbia, serve il rispetto dello spirito più puro di Star Trek, l’affidarsi alla visione originale di Gene Roddenberry e ricordare che solo con mente aperta verso l’altro e un inguaribile, anche ingenuo ottimismo si può arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima.