It di Muschietti è una pallida ombra del romanzo di King, ma può questo essere il solo metro di giudizio del film?
Scrivere una recensione non è mai semplice, ma in certi casi diventa profondamente complesso, come ora che dovrei parlare di IT, il film in uscita il 19 ottobre, che dovrebbe rappresentare, nelle parole di Andy Muschietti, la miglior trasposizione del romanzo simbolo di Stephen King.
Non ho mai avuto molta fiducia nelle dichiarazioni del regista degli ultimi mesi, specie leggendo quali tagli avrebbe apportato alla storia originale per portarla su schermo.
Certo, adattare mille e più in due film (perché questa è solo la prima parte della trasposizione) non è un’impresa semplice, ma ci sono elementi che non possono essere tolti arbitrariamente, ma questo è un discorso più da ammiratore profondo di King, la scontata critica che farebbe un Fedele Lettore del Re.
Quindi togliamoci subito il dente così la lingua smetterà di sbatterci contro.
Come fedeltà alla versione cartacea del romanzo siamo ai minimi storici.
IT (romanzo)è uno scrigno in cui sono custoditi una vasta gamma di spunti, alcuni dei quali giungono davvero marginalmente alla pellicola di Muschietti, altri in modo più spiccato, altri ancora nemmeno si vedono.
Il cuore del romanzo di King è una storia su amicizia e perdita dell’innocenza, il passaggio dall’infanzia ad un’età adulta, aspetto a cui il film di Muschietti si avvicina abbastanza, ma senza troppa convinzione per riuscire a dare alla storia la stessa ricchezza della versione scritta.
I Perdenti che vediamo sullo schermo hanno solo una parte del fascino della loro controparte cartacea, mancano di mordente, non hanno quella caratterizzazione che King ha saputo dare ai suoi giovani protagonisti.
Uno su tutti Richie Tozier, penalizzato da un doppiaggio non all’altezza, che perde il suo dono, quella capacità di imitare le voci che costituisce una delle armi usate contro It.
Anche gli altri membri del club vengono privati di alcuni passaggi fondamentali, di una loro identità essenziale che nel film è quasi data per scontata, come se aver letto il libro fosse cosa data per garantita, cullandosi così nel non caratterizzare maggiormente i personaggi.
L’aderenza è limitata solo all’accenno di alcuni aspetti, nei momenti salienti e centrali si evidenziano assenze incomprensibili.
Colpa principale di queste mancanze è l’aver spostato avanti di trent’anni la prima parte della storia, originariamente ambientata negli anni ’50.
King ha il merito di contestualizzare sempre i suoi personaggi all’interno del contesto sociale dell’epoca in cui si svolgono le sue storie, e It rappresenta uno dei suoi migliori inquadramenti in tal senso (secondo, forse, solo a 22/11/’63).
Col passaggio agli anni’80, forse per ingraziarsi l’attenzione dei lettori che hanno decretato il successo del romanzo, con una sorta di operazione nostalgia, Muschietti elimina totalmente concetti come il razzismo, che nel libro pesa tanto sulla figura di Mike Hanlon, il quale, privato di questo personale spessore emotivo, finisce per essere solo colui che è il detentore dell’arma usata per uccidere It.
Peccato che questa ennesima “licenza poetica” elimini totalmente la presenza della fionda, dell’addestramento per il suo utilizzo e della valenza dell’argento, altra perdita dovuta a un radicale cambiamento, anzi un vero e proprio taglio che torna a mettere ai margini la figura di Richie.
Vedere IT così tarpato è stata una brutta esperienza e il Fedele Lettore che è in me si chiede se questo film abbia davvero ragione di esistere, visto che dell’It letterario ha così poco da sembrare quasi un’altra storia.
Parte del fascino del libro era l’alternanza tra le due linee temporali, un continuo costruire le due diverse vicende per ammaliare il lettore, spingerlo a divorare le pagine, sommergendolo di emozioni. Muschietti scinde nettamente in due il film, amputando la storia di King di uno dei suoi punti di forza.
Ma questo punto di vista, può essere un pregiudizio nei confronti del film? Assolutamente si.
L’It di Muschietti è, per quanto mi riguarda, una pessima interpretazione dell’ It di Stephen King, ma ciò vuol dire che è anche un brutto film? Qui la risposta si fa complicata.
Sicuramente il film visto non è un horror, soprattutto perché l’elemento della paura incarnata da Pennywise (Bill Skarsgard) non è minimamente spaventoso.
Nella versione in lingua originale il Clown Danzante beneficia della voce dell’attore, che instilla un minimo di inquietudine, ma in italiano anche questo aspetto viene meno e, ahinoi, Pennywise non fa paura, e il solo momento in cui sembrerebbe essere davvero spaventoso, lo confesso, mi ha quasi fatto ridere.
Poi, all’improvviso, mi è stata subito chiara una cosa: il target del film non era gente della mia età.
Muschietti sembra aver concepito il suo film per i coetanei dei Perdenti, più suggestionabili a certe sollecitazioni, grazie ad una maggior immedesimazione con i protagonisti.
Così, vedendolo con occhio meno critico e prevenuto, It diventa un film tutto sommato gradevole, non il capolavoro osannato da molti, ma un divertimento semplice e con qualche interessante spunto di riflessione, un film da vedere seduti tranquillamente sul divano senza troppo impegno e attenzione.
I Perdenti diventano gli eredi dei Goonies o gli emuli del gruppetto di ragazzini di Stranger Things (dal cui cast è stato preso Richie), una manovra che sembra voler arricchire il lavoro di Muschietti di quella vena nostalgica degli anni ’80 che sembra ormai diventata un’onda dilagante.
In quest’ottica diventa interessante il modo che hanno i ragazzi di relazionarsi, la loro crescita per diventare giovani adulti e i primi cambiamenti. Emblematica, in tal caso, è la scena del tuffo alla cava, in cui tutti sembrano innamorarsi in quel momento di Beverly (Sophia Lillis è semplicemente stupenda, per tutto il film).
Il cuore dell’It di Muschietti è esattamente questo, avvicinare lo spettatore alla dimensione adolescenziale, facendo leva sul ricordo nostalgico di un’epoca passata o di uno stato emotivo che si vive al momento.
Bill e la sua banda sono sicuramente affascinanti, sanno come trasformare in emozione il loro ruolo, sono dei ragazzini veri, messi di fronte ad un incubo reale, ma anche ad un’avventura da cui sono morbosamente attratti.
Il motore di It è, anche in questo caso, la loro amicizia con in sottofondo la crescente attrazione tra Bill e Bev e un impacciato Ben a patire i primi morsi della gelosia.
Peccato che tutto venga raccontato frettolosamente, con un ritmo più da action movie che non da film che avrebbe dovuto essere.
It, se scorporato da questa sua pesante assonanza ad un libro così famoso ed amato, ha tutte le potenzialità per esser il film di riferimento di questa nuova generazione di adolescenti, lo stesso tipo di riferimento che i Goonies sono stati per chi è cresciuto negli anni ’80.
Quindi per rispondere alla domanda di prima, It non è un pessimo film, ma paga le sapienti lusinghe di una campagna promozionale che ha cercato, riuscendoci, di sedurre i fan di King e gli appassionati, promettendo uno spettacolo che nella realtà dei fatti manca totalmente.
Come, quindi, ci si deve porre di fronte a questo titolo?
Da un lato ho sempre visto in modo sospettoso le trasposizioni, perché spesso privano la memoria del libro della sua potenza.
Eppure, esiste un clamoroso successo come Shining, che per quanto possa essere diverso dal romanzo di King (al punto da scatenare una leggendaria querelle tra lo scrittore e Kubrick), risulta quasi allo stesso livello del libro, se non addirittura superiore, come potenza narrativa.
Ma, d’altro canto, una volta inquadrato il giusto spirito di questa pellicola diventa difficile non provare un minimo affetto, a patto di riuscire a zittire il fanatico kinghiano che continua a lamentarsi, quel bambino mai cresciuto che, in qualche modo, si sente illuso e tradito.