L’Universo Marvel si fa ancora piรน colorato e rockeggiante e con Thor: Ragnarok sforna un rinnovato Dio del Tuono piรน fumettoso, comico, consapevole del suo ruolo ma che non riesce a rapire il cuore degli appassionati
Poche ora fa, in una sala semideserta (credo per via dell’orario, erano le 16:00) del The Space Cinema di Lecce, ho assistito speranzoso al debutto di Thor: Ragnarok, l’atteso cinecomic dei Marvel Studios interpretato da Chris Hemsworth, Mark Ruffalo e Cate Blanchett.
In questi ultimi mesi, l’aver dato notizie continue per Justnerd sul film di Taika Waititi,ย mi aveva in un certo qual modo preparato psicologicamente a ciรฒ che mi avrebbe atteso in sala e, devo ammettere che il film, nel suo complesso non ha deluso, anzi Waititi dร una sterzata abbastanza decisa al franchise, strizzando l’occhio alle atmosfere e alla verve ironica di Guardiani della Galassia, con un’estetica rockeggiante molto anni ’80, ma facendo in primis una cosa importantissima: riportare il fumetto e la sua cromaticitร sul grande schermo.
Thor: Ragnarok รจ un film che deve molto al suo regista e alla sua personalitร , allontanandosi dalle atmosfere complesse ed introspettive dei primi film dedicati al Dio del Tuono e mettendo di fronte al pubblico protagonisti luminosi, colorati, quasi a ricordare la lucentezza delle pagine patinate dei fumetti che tanto regalano al taglio del film, alle inquadrature e ai momenti di azione davvero degni di nota ma, nonostante tutte queste attenzioni, la pellicola non decolla e non riesce ad entrare nel cuore degli appassionati, con il tanto pubblicizzato fuoco del Ragnarok che si esaurisce in pochissimo tempo come la fiamma di un cerino.
Thor con poco Ragnarok
Il film muove i passi a partire dagli eventi successivi ad Avengers: Age of Ultron con il nostro eroe norreno spintosi ai confini della galassia che riesce a fermare il Ragnarok, sconfiggendo abbastanza in scioltezza il terrificante (solo nell’espetto) Surtur che fa tanto Balrog de Il Signore degli Anelli, un parallelismo con il film di Peter Jackson che si paleserร nuovamente in una scena successiva, in cui la fuga del popolo asgardiano dalla malvagitร di Hela ricorda improvvisamente la sequenza della fuga della compagnia dell’anello, inseguita dagli orchi, sulle Montagne Nebbiose.
Scongiurato il pericolo della distruzione della civiltร Asgardiana, Thor ritorna in patria dove trova una situazione alquanto surreale e, dopo aver assistito ai brevissimi cameo “teatrali” di Matt Damon, Liam Hemsworth e Sam Neill, il figlio di Odino smaschera l’ennesimo inganno di Loki, il quale era riuscito a “mettere in pensione” proprio Odino confinandolo sulla Terra.
La lontananza di Odino, oramai consapevole che il suo tempo sia oramai giunto, apre le porte al ritorno dall’esilio della primogenita Hela, Dea della Morte, legittima pretendente al trono di Asgard per diritto di nascita nonchรฉ sorella di Thor.
L’entrata in scena di Hela, interpretata meravigliosamente dalla splendida Cate Blanchett ci mette di fronte ad un villain potentissimo e finalmente carismatico, il quale riesce in poco tempo a sbarazzarsi sia di Thor (dopo avergli frantumato il Mjolnir) che di Loki, spedendoli in qualche sperduto angolo della galassia.
Purtroppo il prorompente impatto della Dea della Morte nella storia, che stimola le sinapsi in maniera sconcertante con proiezioni mentali su epici scontri degni di questo nome, si esaurisce in pochi minuti e, salvo una scena successiva in cui Hela dร dimostrazione di sรฉ, il personaggio interpretato dalla Blanchett (che sottolineo fornisce una stupenda interpretazione finchรฉ gliene viene data la possibilitร ) tristemente si spegne via via con il passare dei minuti divenendo quasi secondario, tanto che la delusione nel vedere il talento di Cate Blanchett con il freno a mano tirato si fa palese con il proseguire del film e il defilarsi dell’importanza di Hela.
I due fratelli dispersi nella galassia si ritrovano sul pianeta discarica di Sakaar, dove Thor viene catturato da una Valkyrie alcolizzata, che strappa sorrisi al pubblico ma forse fa anche vergognare i puristi, che lo vende al Gran Maestro, leader del pianeta, in modo che possa combattere nell’arena contro il suo imbattuto campione: Hulk.
A questo punto il film imbocca il sentiero piรน fumettoso ma anche meno convincente, a causa di una sfacciata ironia, a volte un po’ forzata, e nuovi personaggi che contribuiscono a popolare e colorare l’universo di Thor.
Sakaar, le sue macchiette, il bizzarro Gran Maestro (pur protagonista di intermezzi con riferimenti storici di livello aulico) e lo scontro con Hulk nell’arena, sono solo il pretesto affinchรฉ l’eroe Thor ritrovi sรฉ stesso e abbracci finalmente le sue responsabilitร verso Asgard, verso il suo popolo e come degno erede di suo padre.
In realtร in questa parte del film, tanto caricaturale da far diventare Hulk una sorta di super star viziata e bambinesca, alla fine tutti i nostri eroi (compreso Loki) riflettono, rinascono, ritornano e ricordano chi sono e da dove vengono, riuscendo a riunirsi tutti insieme e tornare ad Asgard per affrontare Hela.
Un film godibile in sรฉ ma smargiasso e sprecone
Thor: Ragnarok, pur rivelandosi un film godibile e coinvolgente, anche se abbastanza lungo, pecca perรฒ in due aspetti fondamentali: voler fare troppe cose, tanto da lasciare “parcheggiato” un villain come Hela per quasi tutto il film, e cercare di emulare in qualche modo quei Guardiani della Galassia che sembra abbiano abbagliato Marvel sulla direzione da prendere con i suoi film.
In poche parole Thor: Ragnarok si presenta come un film energico, divertente, sfacciato ma al contempo smargiasso e sprecone.
Assistiamo nuovamente a ciรฒ che l’industria cinematografica dei cinecomic cerca di raggiungere con sempre piรน insistenza: il coinvolgimento di un pubblico sempre piรน ampio e variegato, che puรฒ godere del film senza essere cresciuto a pane e fumetti.
Ammettiamolo, se i cinecomic fossero prodotti per piacere a puristi e fan di vecchia data, le 20 persone presenti oggi in sala si sarebbero ridotte di almeno la metร . Ne รจ prova lampante l’attesa delle scene post credit, durante le quali mi sono ritrovato in sala davvero con manipolo di pochissimi “temerari”.
Mettiamola in questi termini, Thor: Ragnarok come film in sรฉ non delude affatto, Waititi sforna una regia con poche sbavature, la fotografia รจ all’altezza di ciรฒ che ci si aspetta da una pellicola del genere, con una particolare menzione per le musiche che, pur se in alcuni momenti non sono state perfettamente sfruttate, da sole potrebbero valere il prezzo del biglietto conย Immigrant Song dei Led Zeppelin a farla piacevolmente da padrone.