Da tre giorni, Netflix è al centro della mia attenzione, soprattutto per quanto riguarda la sua offerta in termini di film.
Dopo avere incassato la delusione di Tau ed un tiepido apprezzamento per Anon, al colosso di Reed Hastings avevo concesso una possibilità per farmi nuovamente tornare un convinto pollice alzato con La Fine.
Il film di David Rosenthal era il prodotto di punta di questo afoso luglio, ma ancora una volta Netflix mostra il fianco.
Se lo scopo di Netflix è quello di diventare un canale alternativo di diffusione di film di alto valore, memori anche di un’accesa polemica in merito durante le recenti edizioni del Festival di Cannes, non sarà certo con film come La Fine che otterrà questo risultato.
La fine è la nuova occasione persa di Netflix per regalarci un film di alto spessore
L’ormai cronica necessità di Netflix di rilasciare sempre più contenuti sta diventano un’esigenza che costringe a inserire nel catalogo prodotti qualitativamente poco accattivanti.
Alcuni film visti recentemente sono approdati su Netflix come ultima spiaggia (come Mute), il che già dovrebbe indicare come la selezione alla base non sia delle più severe.
La fine, sfortunatamente, rientra all’interno dei quei prodotti che un tempo avremmo definito B-Movie ad altro budget. Puoi avere a disposizione una leggenda come Forrest Whitaker, ma nemmeno lui può reggere un intero film sulle proprie spalle se non gli dai uno strumento fondamentale: una storia.
Il film di Rosenthal vuole essere un road-movie post-apocalittico, ambientato in un’America devastato all’improvviso da una non meglio precisata catastrofe che in meno di una settimana (e già qui, si inizia a sentire rumori di scricchiolii) fa collassare l’intera società americana.
Protagonisti di questo viaggio allucinante sono Will (Theo James) e Tom (Whitaker), genero e suocero, che viaggiano da Chicago a Seattle per salvare Samantha, rispettivamente moglie e figlia.
E pensare che inizialmente la storia era anche promettente. La scelta di mostrarci due uomini profondamente astiosi e rancorosi, ironicamente separati per l’amore,in maniera diversa, per la stessa donna era una bella trovata. Le prime scene concorrono a creare una buona tensione emotiva, che pur non brillando riesce comunque a preparare una buona base per il resto della pellicola.
Peccato che l’improvvisa catastrofe pare colpire duramente anche il resto della trama.
Quello che viene meno in La fine è la tensione, perché il crollo della società non viene curato a sufficienza, ma lo si da per scontato, troppo rapido. Questo filone narrativo ha dei punti di riferimento di altro spessore (La strada di McCarthy in primis), e quindi scontrandoti con simili capolavori devi mostrare di poter rivaleggiare alla pari.
Rosenthal cerca con una certa bravura di giocare sulle inquadrature, su alcuni dettagli particolarmente suggestivi per dare ancora più valenza alla storia, ma quelle che viene meno è una solidità narrativa minima. Manca, in parole povere, la storia.
Non bastano una serie di eventi messi in successione, non ci si accontenta di qualche scena action abbastanza discutibile ed altamente improbabile (vedi la scena del ponte), un film come La fine deve basarsi sulla tensione. E qui, purtroppo, il film perde di consistenza.
Da un lato ho apprezzato il non far sapere cosa sia realmente la catastrofe che da origine al viaggio, perché quel senso di mistero può essere un ulteriore elemento di ansia. Ma è piuttosto difficile mantenere questa agitazione, se non vengono dati altri tasselli che diano visione alla trama.
Il voler inserire la figura della giovane Ricki era un’altra bella idea, ma anch’essa viene sprecata nel trasformare la ragazzina nel contraltare di un mutamento interiore di Will troppo repentino e poco credibile.
La sensazione che ho avuto a metà film è che non si volesse più raccontare una storia in divenire, ma imporre una serie di punti fermi da accettare senza farsi domande. Manca tutto lo sviluppo, il crescendo emotivo viene, infine, ammazzato nella parte finale del film, dove La fine mostra inesorabilmente la propria fragilità.
Peccato, perché visivamente in La fine sono presenti delle scelte stilistiche intriganti e ben inserite, capaci di dare qualche sferzata emotiva in un film altrimenti insolitamente piatto e privo di brio, dove invece erano necessari ansia e senso drammatico.
La fine è quindi un nuovo segnale d’allarme per Netflix. Il canale di streaming deve iniziare a ragionare meno in termini di quantità e più sulla qualità della propria offerta, soprattutto considerata la concorrenza sempre più spietata e la voglia degli spettatori di godersi film di un certo spessore.