Nell’agosto del 1994 usciva Doom, un mito degli FPS di cui oggi scopriamo le origini
Sul finire del 1993 usciva un gioco che avrebbe segnato un’epoca, divenendo così iconico che ancora oggi quando viene nominato o si sente profumo di un suo ritorno i videogiocatori vanno in delirio: DOOM! Per me, Doom resta un passo fondamentale nella mia vita da videogamer, ricordo ancora i dischetti che racchiudevano le imprese dello space marine, visto che all’epoca i primi CD-Rom erano ancora una rarità. Uno dei primissimi giochi che giocai col mio primo PC fu Doom.
All’epoca non era ancora diffuso il CD-Rom, si girava con mucchi di dischetti su cui erano suddivisi i giochi; chi ha qualche annetto si ricorderà il continuo inserire e togliere dischetti, operazione che ora parrebbe una follia!Per giocare a Doom era necessario infilare e sfilare dischetti, operazione all’epoca emozionante ma che oggi pare inconcepibile, eppure poter sentire lo sparo della doppietta era una ricompensa più che sufficiente!
Questo amore nostalgico per Doom fa sorgere una domanda: come è riuscito un semplice gioco a diventare così epocale?
Ripensandoci, primo vero FPS di casa id fu Wolfenstein 3D, uscito nel 1992 e che ebbe un successo incredibile per l’epoca. Anche Wolfenstein ha avuto successive incarnazioni (alcuni onestamente dimenticabili), ma nell’immaginario collettivo è Doom il successo maggiore di iD Software. Eppure, senza Wolfenstein 3d non avremmo avuto Doom, un titolo capace di raggiungere il milione di copie vendute, cui si aggiungono i nove milioni di giocatori che lo provarono come shareware gratuita.
Verrebbe da pensare che dietro un simile capolavoro ci fosse una squadra di lavoro impressionante, abituati alle titaniche software house di oggi. Assolutamente no, il successo di Doom è dovuto al lavoro di solo quattro persone!
Ad onore del vero, grossa parte di Doom è stata presa dal suo predecessore, al cui prequel (il deludente Spear of Destiny) stavano già lavorando i programmatori, che al contempo stavano ultimando il motore grafico che avrebbe dato vita a Doom.
A Spear of Destiny si stavano dannando l’anima John Romero (programmatore/designer), Adrain Carmack (artista) e Tom Hall (designer), mentre il programmatore John Carmack sperimentava engine mods su Shadowacaster (un FPS/RPG di Raven Software). Shadowcaster , pur non essendo all’altezza di Wolfenstein, aggiungeva parecchie tecnologie, come diversi sistemi di illuminazioni e strutture di altezza variabile. creare nuovi motori grafici era un sorta di hobby per Carmack, tuttavia passò la seconda parte del 1992 ad elaborare un engine che sarebbe divenuto l’architettura alla base di Doom.
L’engine creato da Carmack era più veloce, più fluido dei diretti rivali. Il risultato fu possibile per un diverso approccio al motore grafico di Carmack; mentre altre software house puntavano a costruire mondi realmente in 3D, Carmack basò il proprio lavoro sulla velocità. I livelli di Doom sono semplici mappe 2D, che si proiettano verso l’altro, in modo da illudere il giocatore di esser in un mondo tridimensionale.
Grazie a questa scelta, i giocatori possono giocare Doom in map mode (per una sfida di tutto rispetto). Zoomando abbastanza si possono anche notare i missili che volano per i livelli! Gli elementi più importanti del gioco all’epoca furono il dettaglio vario e la velocità del gameplay, tanto che Carmack propose una versione in hi -color perché alla risoluzione di 640×480 “avrebbe potuto girare a 3 frames al secondo sugli hardware disponibili“.
Mentre Carmack lavorava al suo engine, iD Software aveva iniziato la sua ascesa. Terminato Spear of Destiny, la compagnia aveva cambiato sede e la sua capacità non era rimasta inosservata, tanto che la 20th Century aveva avvicinato il team per realizzare un tie-in ispirato ad Alien, progetto che poi non vide la luce a causa della reticenza della software house a dover lavorare a un titolo troppo controllato dalla casa di produzione cinematografica. In questo periodo, Carmack inizia a pensare come sarebbe stato epico unire l’atmosfera fantascientifica all’horror, con la presenza di demoni.
Tom Hall, catturato dall’idea di Carmack, iniziò quasi per scherzo a redigere una sorta di sceneggiatura di Doom, scrivendo quella che poi venne ribattezzata la Bibbia di Doom. La prima idea era di creare una squadra di quattro soldati diretti all’inferno e con una conseguente fuga; questa prima intuizione venne realizzata da Hall come livello di una beta, salvo poi comparie nella versione finale (il livello The Spawning Vats). Hall si informò con testi militari per le tattiche e le armi, diede vita a dei livelli di test e diede vita al sistema dell’hub, dando la possibilità ai giocatori di riprovare i livelli.
Questa forte componente della storia non convinceva Carmack, convinto che la trama in un videogioco fosse un extra, non il dettaglio principale. La differenza di vedute fu la prima di una serie di divergenze. Il team di sviluppo non era convinto dell’approccio di Hall, mentre quest’ultimo vedeva Doom prendere una deriva oscura e violenta, totalmente diversa dalla sua idea. A metà del 1993, dopo continue liti e divergenze, Hall lasciò iD Software, anche se alcune sue idee vennero successivamente inserite in titoli della software house (come Rise of the Triad e Terminal Velocity).
Con l’addio di Hall, il team guidato da Romero dovette fermarsi, prendere coscienza del lavoro svolto finora e decidere in che direzione muoversi. Fu proprio Romero a guidare questa ripartenza, proponendo nuove idee che divennero poi i dettagli tipici di Doom, come punteggi e vite, ed alcune precedenti proposte vennero assorbite nella nuova identità del titolo con una diversa funzione, con vecchie armi che vennero tralasciate, anche in favore di strumenti di morte più efficienti (come il leggendario BFG 9000!)
Lo stile del level design di Hall venne sostituito da quello più astratto e vivo di Romero. I ragazzi di iD Software erano così assorbiti da Doom e sicuri del suo potenziale che in quattro mesi assunsero due nuovi membri, Steve Taylor e Sandy Petersen, affidando loro il compito di riesaminare i livelli di Hall, completando quelli utilizzabili ed eliminando il resto.
Fu Petersen a realizzare la quasi totalità dei livelli di Doom (ben 19) , a optare per l’utilizzo di arene a cielo aperto, illuminazione, scale e ponti, con un utilizzo marcato dell’asse Z (l’altezza, per intenderci). Questi espedienti consentirono ai programmatori di realizzare livelli dinamici e in cui fosse facile per il giocatore smarrire la direzione.
Venne introdotto il sistema dei passaggi con le chiavi, utilizzando zone della mappa che si sarebbero sbloccate non arrivando in loro prossimità ma solo se in possesso dell’apposita chiave, spesso recuperata più avanti nel gioco, mentre i giocatori vennero premiati per la loro bravura con oggetti speciali raggiungibili solo con mosse da veri maestri.
Trovata la quadra per il game design, mancava l’aspetto principale: i nemici. A questo pensarono Adrian Carmack e Kevin Cloud, mentre per il comparto armi vennero presi come modelli le armi giocattolo per bambini (quindi non sono i videogiochi a rendere violenti, visto?) che vennero digitalizzate da John Carmack con un apposito tool di sua creazione, il Fuzzy Pumper Palette Shop) .
Ai suoni pensò un collaboratore di vecchia data di iD Software, Bobby Prince, che aveva già realizzato l’audio di Wolfenstein e Commander Keen; il primo passo fu unire una base di heavy metal e musica ambient, in collaborazione con Romero, che poi aggiunse i suoni dei mostri ricorrendo ad una raccolta di effetti sonori (la Sound Ideas Series 6000).
Un segno della presenza di Hall rimase comunque:il WAD, acronimo di “Where ‘s All the Data?” (letteralmente, “dove sono i dati?“). Il WAD conteneva tutti i dati usati nel gioco (sonoro, grafica, livelli, tutto) ed era non criptato, il che consentiva ai giocatori più intraprendenti di diventare dei game designers di creare dei propri WAD. Fu una svolta epocale, una software iniziava una collaborazione con i propri clienti, tanto che alcuni programmatori amatoriali tramite questa occasione passarono nel circuito professionista.
Doom viene ricordato perché presentò per primo alcune delle caratteristiche principali del genere FPS, tra cui una gran quantità di nemici, lotte fra gli stessi nemici e i power-up. Nelle idee originali erano state contemplate delle features interessanti, come la permanenza dei buchi nei muri, ma visto lo sviluppo incredibilmente frenetico (meno di un anno!), alcune opzioni furono obbligatoriamente accantonate. Lo stesso Carmack anni dopo commentò così questa rinuncia
” Non rimani mai senza cose da implementare in un gioco, ma arrivi a un punto in cui devi fare delle scelte ragionate, ma devi tenere presente che il tempo impiegato a lavorare sul titolo è più importante delle cose che puoi aggiungere. Direi che ce la siamo cavata bene con Doom!“.
Onestamente, come dargli torto? L’ottimo lavoro svolto da iD software con Doom ha consacrato il titolo nell’olimpo dei videogiochi, tanto che ancora oggi è considerato una delle pietre miliari degli FPS.