Proprio mentre mi stavo rassegnando al fatto che il giugno di Netflix avesse come suo massimo culmine la seconda stagione di Luke Cage (e sarebbe una vetta decisamente modesta), ecco che su catalogo appare quella che si presenta come una delle produzioni più interessanti degli ultimi mesi: Glow, seconda stagione.
Dopo prodotti come Altered Carbon e Annientamento, devo ammettere che Netflix non ha offerto produzioni particolarmente esaltanti. Fortunatamente, il ritorno delle lottatrici di wrestling si prende sulle spalle il carico di creare uno spettacolo strepitoso e con un suplex stende il pubblico con una serie che rasenta la perfezione.
Tornano le wrestler di Glow, con una seconda stagione magnifica!
In un periodo in cui la mania della nostalgia degli anni ’80 dilaga al punto di diventare quasi stucchevole, Glow riesce a creare una visione del periodo che si distacca dalla massa grazie ad una caratterizzazione onesta che non soffoca, però, lo spessore della storia o la profondità dei personaggi.
La serie di Netflix, infatti, affascina dal punto di vista storico perché ricrea al meglio le atmosfere e i costumi del periodo grazie ad un serie di elementi narrativi che passano dall’ovvia scenografia ai piccoli riferimenti culturali che hanno segnato il periodo, senza strafare, ma limitando il tutto con naturalezza.
Di tutte le puntate, fate tesoro della ottava, un raro esempio di coraggio e perfetto tempismo. Nel bel mezzo di uno dei momenti più intensi della stagione, ecco arrivare un episodio che si focalizza in pieno su alcuni tipici elementi dello showbiz anni ’80, dalla canzone ‘sociale’ (Don’t Kidnap avrebbe spopolato all’epoca, ne sono certo!) al merchandise dei personaggi. Niente, o pochissima storia, ma tanto spirito eighties, ed ecco una delle migliori puntate mai pensate per una serie.
Concentrare questo succo di anni ’80 in un episodio ha consentito di lavorare al meglio sulla storia e sui personaggi.
Al centro di Glow rimanre il trio Ruth (Alison Brie), Debbie (Betty Gilpin) e Sam (Massimo de Ambrosis).
Dopo il successo dello show, Glow diventa un prodotto di punta dell’emittente, che intende sfruttare al massimo questo fenomeno. Questo improvviso apprezzamento diventa anche un elemento di rottura, quando Debbie sceglie di non limitarsi ad esser semplice lottatrice, ma fa pesare il suo ruolo di attrice conosciuta per rivendicare un ruolo di produttrice.
Questa novità è uno degli elementi più interessanti della nuova stagione. Debbie è uno dei due personaggi meglio curati della seconda serie di Glow.
Ci viene mostrata come una donna apparentemente cinica e fredda, decisa e inamovibile in mezzo alle colleghe, ma siamo anche partecipi del suo intimo disagio nell’affrontare il divorzio, della sua lenta discesa in un umore cupo, acido, che porta ad uno dei momenti di massima emotività della serie.
Ruth, che dovebbe esser la protagonista, viene lievemente messa in secondo piano, giustamente, per dare la possibilità ad altri personaggi di mostrare qualcosa in più. Sam è impegnato nel difficile rapporto con la figlia, Bash affronta il distacco dall’importante figura del maggiordomo e Debbie, come detto, cerca di emergere e ricostruirsi una nuova sé.
Ma la vera rivelazione di questa stagione è Kia Stevens, interprete di Tammee “Welfare Queen” Dawson. La sua figura quasi comica nella prima stagione, questo personaggio creato per dare un senso di repulsione e odio nel pubblico non le è mai pesato, almeno fino a quando non entra in scena il figlio, che scopre quale sia la reale professione della madre.
Kia Stevens regala un’interpretazione emozionante, struggente, concentrata in un pianto che difficilmente lascerà indifferenti. Il vero culmine emotivo della seconda stagione di Glow si concentra su di lei, sulle sue lacrime e sulla difficoltà di una madre di rimettersi al giudizio di un figlio. La trama dell’episodio è perfetta, con un tempismo ed una costruzione emotiva solida e coinvolgete.
L’intera seconda stagione di Glow è caratterizzata da questa scansione dei tempi perfetta, mai banale, studiata nei dettagli. La chiusura degli episodi, la successione degli eventi e gli scambi di battute, persino la scelta di usare o meno una colonna sonora nei momenti più intensi e la scelta di andare a nero sono valorizzati per provocare botte di adrenalina nello spettatore, accompagnandolo al momento clou.
Dopo aver visto la prima stagione di Glow avevo il timore che il seguito sarebbe stato sminuito da questa grande aspettativa, invece mi sono trovato davanti un blocco di nuovi episodi che ha saputo alzare ulteriormente il livello della serie.
Il finale lascia presagire una terza stagione ancora più promettente. Certo, ora sarebbe anche il momento di lasciare spazio ad altre lottatrici particolarmente carismatiche e ancora non pienamente valorizzate (una su tutte, Britney Young, ossia Carmen/Machu Picchu), oltre a mostrarci la vita della coppia di sposini.
Netflix con Glow ha in mano uno degli show più appassionanti e meglio realizzati attualmente in corso, se mantiene questo alto livello qualitativo abbiamo per le mani una di quelle serie che faranno la storia dell’intrattenimento televisivo.