Il Buco è un film horror di critica sociale pubblicato su Netflix il 20 marzo 2020. A prima vista può sembrare un tipico film dell’orrore ma, grazie ad una forte componente allegorica, introduce lo spettatore in una profonda spirale di riflessione. La critica sociale arriva attraverso uno svolgersi di fatti impressionanti e disturbanti non solo sul piano fisico, ma anche psicologico.
Su Netflix arriva Il Buco, il film specchio di una società spietata che con la sua struttura decide chi vive e chi deve lottare per la sopravvivenza
La critica sociale è un tema trattato in molti film già dall’invenzione della pellicola ma ultimamente, questa tipologia di film, considerati piuttosto pesanti e non sempre di facile comprensione, è stata integrata con altri generi per suscitare nello spettatore sentimenti di tensione, ansia e paura al fine di mantenere alta l’attenzione.
Per indurre lo spettatore a tenere alta la concentrazione e a riflettere, il tema critico si unisce all’horror ispirando saghe come Saw di James Wan e The Cube di Vincenzo Natali, ma anche film recenti come Snowpiercer di Bong Joon-ho (regista anche del pluripremiato Parasite) e El Hoyo (titolo originale de Il Buco) diretto da Galder Gaztelu-Urrutia.
La storia attorno a Il Buco di Netflix
Il protagonista della storia è Goreng (interpretato da Iván Massagué), un tipo qualunque che decide (per un motivo ignoto) di entrare volontariamente nella prigione verticale, definita dal proprio staff come “centro verticale di autogestione”. All’interno incontrerà il proprio compagno di piano Trimagasi (Zorion Eguileor) che lo guiderà nella comprensione delle regole. Si mangia una volta al giorno, in circa 2 minuti, con un pasto portato dalla piattaforma che viaggia verso le profondità dell’edificio. Non si può tenere cibo dopo che la piattaforma ha cambiato piano, pena la morte. Le pietanze a disposizione sono le restanti dal pasto dei detenuti ospitati nei piani soprastanti.
Goreng giunge velocemente alle conclusioni, e una domanda si fa spazio nella sua mente: come sopravvivono i prigionieri dei piani più bassi quando il cibo finisce?
La traduzione di Netflix: Il Buco vs The Platform
È inevitabile la riflessione e il paragone tra il titolo originale del film che si traduce fedelmente in Italiano “Il Buco”, e quello scelto per la lingua inglese “The Platform”. Il primo da un senso di vuoto, di freddo e di ignoto, non si sa cosa ci si può aspettare dalle viscere oscure che nasconde. La seconda è spessa, solida, in qualche modo confortante perché arriverà inesorabile (piena o vuota) ogni giorno. La piattaforma sembra simboleggiare i beni capitali in movimento in una società definita da chi ne sta al vertice.
Un’immagine che viene richiamata alla memoria è sicuramente l’inferno dantesco, in cui chi è in cima soffre di meno ma soffre comunque. La differenza sostanziale sta nello spostamento mensile in un piano diverso dei prigionieri colpevoli dei peccati di gola e avarizia. Questi due vizi capitali emergono prepotentemente nelle scene che mostrano i detenuti “lanciarsi” sul cibo per puro istinto di sopravvivenza, in modo talmente aggressivo e animalesco da suscitare nello spettatore nausea e disgusto.
Il “Don Chisciotte nella Mancia” e il “Samurai-Plus”
Nella Fossa (altro nome attribuito alla prigione verticale) è permesso ad ogni ospite di portare con sé un oggetto. Proprio questo ci fa capire la posizione del protagonista che ha scelto una copia dell’opera Don Chisciotte, in contrapposizione a Trimagasi che porta sempre con sé il coltello “Samurai-Plus” in grado di tagliare ogni cosa.
Anche questi oggetti, come l’intero film, sono un’ allegoria. Il libro rappresenterebbe la conoscenza e la cultura, nel Don Chisciotte della Mancia il protagonista combatte contro i mulini a vento cercando di cambiare l’andamento delle cose. Il coltello invece è un’arma, per difendersi ma anche per attaccare per far prevalere i propri interessi e valori giusti o sbagliati che siano.
Salire o scendere?
La posizione di Goreng è liquida durante lo svolgimento del film, ciò gli fa capire l’importanza dell’equità totalmente assente e sostituita dall’egoismo dilagante ai vertici della prigione. Nasce la consapevolezza che se tutti facessero la propria parte l’intera popolazione della torre potrebbe ricevere il cibo sufficiente alla sopravvivenza.
Non è facile cercare di convincere i compagni di sventura ad equilibrare la situazione. Il primo approccio è il dialogo che si tramuta in minacce di fronte all’indifferenza. Ben presto Goreng si rende conto che per attuare un cambiamento radicale deve spostarsi dalla sua posizione salendo ai vertici e cambiando le cose a monte o scendendo nelle profondità della prigione mandando un forte messaggio all’amministrazione. Inizia quindi il viaggio di Goreng. Quale sarà la scelta migliore salire o scendere?
Anima socialmente critica, aspetto raccapricciante
I temi trattati non sono facili da comprendere per questo la forma in cui sono espressi è in chiave horror, scatenando la curiosità nel voler sapere come andrà a finire la vicenda. Lo sfondo in cui si svolgono i fatti è palesemente utopico a differenza del comportamento dei detenuti, che è giustificato dell’istinto di sopravvivenza. Proprio questo impulso animalesco garantisce al pubblico una buona dose di sangue e budella. Anche il fattore psicologico è fortemente colpito dal fine della sopravvivenza, che scatena le stomachevoli abbuffate di avanzi di cibo da parte degli ospiti della prigione.
Elemento che colpisce fortemente la psicologia dello spettatore è la mutevolezza della posizione all’interno della torre e della scala sociale. Si pensi di venire addormentati da un gas spostati inconsapevolmente, al risveglio si verrà colpiti da una soffocante ansia di sapere in quale piano ci si trova.
La forza è l’ansia
Iván Massagué è magistrale nel trasmettere sensazione di smarrimento, terrore ed impotenza. Un grande ruolo viene giocato anche dalla regia che articola tutto il film in una cella di cemento in cui anche i colori giocano un ruolo importante. Passando dal grigio che annienta ogni soggetto e sentimento al rosso che richiama il sangue e la passione, l’istinto e la tensione, propri di una primitività che non apparteneva più alla specie umana in apparenza socialmente civilizzata.
In conclusione, Il Buco di Netflix è in film che può essere visto con leggerezza, incuriositi da come Goreng cercherà di sopravvivere in maniera pratica, ad una vera e propria situazione di tortura fisica e psicologica. Per gli spettatori che vogliono vedere una pellicola più “impegnata” il lungometraggio offrirà degli spunti di riflessione più profondi, mostrando come il protagonista cercherà di mutare la situazione comune.
Sinceramente non sono riuscita a cogliere alla prima visione ogni minima sfumatura del film, che è veramente ricco di metafore. Anche senza spiegarsi tutti i significati rimane una buona pellicola in grado far venire ansia allo spettatore e di tenerlo così attaccato allo schermo in attesa di sapere cosa succederà al protagonista.