Sab 16 Novembre, 2024

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The Umbrella Academy vol. 1 e 2 – Recensione

Quando ho avuto la possibilità di recensire i primi due omnibus di The Umbrella Academy editi da Bao, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di mettere le mani sul primo lavoro di Gerard Way del quale sono stato un grandissimo fan, insieme ai suoi My Chemical Romance, almeno fino a The Black Parade.

In occasione dell’imminente uscita della serie TV Netflix prevista per febbraio 2019, diamo uno sguardo d’insieme ai volumi 1 e 2 di The Umbrella Academy

Scritto, come già detto, da Gerard Way e disegnato da Gabriel Bà (con straordinarie copertine di James Jean) ed edito a partire dal 2007 da Dark Horse, The Umbrella Academy  narra le assurde avventure di una “famiglia” di supereroi alle prese con problemi apocalittici più o meno irrisolvibili.

O almeno questo è quello che sembra ad uno sguardo superficiale della trama.

In seguito ad un evento folle ed irripetibile, 43 donne che non mostravano segni di gravidanza, improvvisamente partoriscono dei bambini in tutto il mondo.

Di questi, solo sette sopravvivono e vengono adottati da Sir Reginald “monocolo” Hargreeves, uno scienziato miliardario che segretamente è anche un alieno.

Il progetto di Hargreeves vede i sette come “supersoldati” da addestrare al mestiere del supereroe in vista di non si sa bene quale catastrofe imminente.

Se le premesse vi sembrano quantomeno strambe, avete perfettamente ragione.

Il fumetto è un delizioso mix di epica superomistica, fantascienza Golden Age ed estetica quasi vaudeville che si presenta con una molteplicità di facce, tante quante quelle dei suoi protagonisti super-disadattati.

Conosciamo, nel dettaglio, i principali protagonisti dell’opera di Way e Bà

  • Reginald Hargreeves: Alieno sotto le mentite spoglie di un ricco imprenditore, è la problematica figura paterna dei sette eroi.
  • Space Boy: leader del gruppo, un po’ ottuso ma coraggioso. Dotato di superforza da bambino, ora la sua testa è montata sul corpo di un gorilla. È innamorato di sua “sorella”. Perché sì.
  • Kraken: l’unico vero supereroe della banda, ribelle, feroce ed animalesco. Può trattenere il respiro per sempre, bravo con le lame. Ricorda qualcuno.
  • Voce: in inglese “The Rumor”, tramite la frase “rumor has it” può modificare la realtà attraverso le bugie. Pare che sia la ragazza più carina del mondo. Forse corrisponde i sentimenti del “fratello”.
  • Medium: ha un sacco di poteri, ma funzionano solo se si leva le scarpe. Ha anche un sacco di problemi che peggiora con un sacco di droga. Don’t ask.
  • Numero 5: può spostarsi nel tempo compiendo piccoli movimenti, quindi sembra incredibilmente veloce all’occhio umano. Ad un certo punto si sposta troppo, tornerà indietro e forse ucciderà Kennedy. O il contrario. Comunque è abbastanza str**zo.
  • Horror: muore praticamente subito, piuttosto inutile. Però ha dei tentacoli.
  • Vanya: la sorella inutile, non ha mai manifestato nessun superpotere, eppure rimane sempre sotto la severa egida di Sir Hargreeves. Molto brava a suonare il violino, forse troppo brava. Da adulta sarà più bella di Voce, ma nessuno sembra accorgersene.

Se le strampalate biografie qui sopra vi sembrano, appunto, strampalate, sappiate che ho evitato di riportare quella dello scimpanzé parlante Pogo e dell’ispettore di polizia che si cambia la dentiera a seconda di ciò che deve fare.

L’opera si districa, come detto, con agio fra vari generi, pur mantenendo un tono di fondo superomistico e atemporale, ma è nel suo “core” narrativo che dà il meglio di sé.

Immaginatevi gli X-Men, ma con molto più cinismo, droghe allucinogene e sbudellamenti vari e molta meno convinzione di dover (voler?) salvare il mondo.

Le similitudini con la famiglia mutante Marvelliana si sprecano, anche nella caratterizzazione dei singoli protagonisti: da Space Boy che in molti suoi tratti ricorda un po’ Ciclope, a Kraken che è in tutto e per tutto il Wolverine della situazione, anche nella sua dinamica relazionale col suddetto leader.

La base narrativa dell’opera però, soprattutto nella prima parte delle storie (quelle contenute nel primo omnibus), è quella che vede dipanarsi davanti ai nostri occhi la storia di una famiglia devastata (e devastante) che cerca di raccogliere i pezzi di sé stessa che la vita ha disseminato crudelmente qui e là.

A quel punto, contano veramente poco superpoteri bizzarri o complessi intrighi per salvare il mondo da una minaccia apocalittica; ci si ritrova, vignetta dopo vignetta, a desiderare di saperne di più sui passati e sui presenti dei membri della Umbrella e a sperare che i sei ex ragazzini prodigio trovino il modo di fare pace prima con sé stessi e poi con gli altri.

Già, perché la vera antagonista del primo arco narrativo non è Violino Bianco (chissà chi sarà), o perlomeno non è solo lei, ma è la sensazione di abbandono e di inutilità che essa percepisce nei confronti degli altri protagonisti.

Ponendosi come la classica, ma mai banale, storia della Pecora Nera della famiglia, la prima saga colpisce in profondità il lettore, facendolo immedesimare in uno o più personaggi, a seconda della propria esperienza di vita.

Lo stile di scrittura di Way compie poi un altro grande “miracolo” nel campo della serializzazione fumettistica: ci fa affezionare ai personaggi.

Aiutato dalle tavole di Bà, che ricordano da vicino Mike Mignola, il lettore è preso nel vortice delle vite dei bambini-fenomeno e del loro ambiguo “padre” e si ritrova a divorare pagina dopo pagina il fumetto.

Il secondo volume di The Umbrella Academy è un po’ più farraginoso rispetto al precedente

Nel secondo volume, però, Way si perde un po’, andando ad imbastire una storia che rimane estremamente interessante negli intenti e nelle ambientazioni, oltre che coraggiosa, ma eccessivamente diluita in termini di estensione temporale e un po’ farraginosa nella scrittura.

Avrei voluto vedere e scoprire qualcosa di più sui due psicopatici sadici e nichilistici che indossano maschere da animali (e sono un chiaro omaggio ai personaggi di Samuel L. Jackson e John Travolta in Pulp Fiction) e passare un po’ meno tempo con Numero Cinque (lo so che è il protagonista di questo arco, ma non lo sopporto).

Anche nell’inferiore secondo volume, però, Way riesce ugualmente a mantenere alto l’interesse verso i membri di questa disastrosa famiglia e, nel contempo, a farci attendere con ansia il terzo arco narrativo, intitolato Hotel Oblivion e il cui primo numero è uscito ad ottobre 2018 negli USA.

Devo dire, in definitiva, che The Umbrella Academy è stata una piacevole scoperta, che mi ha fatto apprezzare ancora di più Gerard Way come artista e mi ha fatto conoscere l’arte di Gabriel Bà.

Sono ansioso di vedere cosa Netflix combinerà con l’adattamento televisivo che, dalle prime immagini, sembrerebbe aver conservato, almeno in parte, il feeling visivo del fumetto; poi si sarà Ellen Page, e già solo questo fatto ha catturato il mio interesse.

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